Imprenditori italiani accusati di spionaggio: legami con Mosca e pagamenti in criptovalute

Due imprenditori brianzoli sono sotto inchiesta per presunto spionaggio a favore della Russia, accusati di aver scambiato informazioni sensibili per Bitcoin. Il caso, che coinvolge dettagli su operazioni di sorveglianza e sabotaggio in Italia, si intreccia con altre vicende di uso illecito delle criptovalute, come quella della latitante Ruja Ignatova, nota come la “Cryptoqueen”. Un’indagine che svela legami tra spionaggio e finanza digitale
di Rosario Grasso pubblicata il 27 Novembre 2024, alle 15:31 nel canale WebLa Procura di Milano ha aperto un’indagine su due imprenditori della Brianza, accusati di aver collaborato con i servizi segreti russi in cambio di pagamenti in criptovalute. I due uomini, P.S., 60 anni, titolare di un’azienda immobiliare, e F.C., 32 anni, socio dichiaratamente filorusso, avrebbero raccolto informazioni sensibili, come immagini di siti strategici e dettagli riservati su individui di interesse, per poi trasferirle a contatti dell’FSB, il servizio di intelligence russo.
Secondo le autorità, il contatto iniziale con Mosca sarebbe avvenuto tramite un’email diretta all’account istituzionale dei servizi segreti russi, per proseguire poi su Telegram. In cambio delle informazioni fornite, i due imprenditori avrebbero ricevuto almeno 10.000 euro in Bitcoin, tra cui un pagamento documentato di 2.000 euro (fonte).
Tra le attività sotto indagine, la raccolta di immagini di luoghi come il Duomo di Milano e la trattiva sull'installazione di telecamere su taxi per monitorare movimenti e incontri di soggetti specifici. Gli imprenditori sono anche accusati di aver pedinato un cittadino romano, R.B., di aver fotografato la sua abitazione, la sua auto e le sue frequentazioni.
Tra le missioni pianificate vi erano anche ipotesi di sabotaggio in città come Roma e la raccolta di informazioni su siti militari, inclusa la base di Aviano. P.S. avrebbe inoltre offerto presunti contatti per ottenere dossier confidenziali della NATO, una proposta che non si sarebbe concretizzata, stando alle fonti.
L’inchiesta, avviata nell’aprile 2024, ha portato a perquisizioni e sequestri che hanno fatto emergere ulteriori dettagli su queste attività illecite. Tuttavia, molte delle conversazioni tra i due italiani e i loro contatti russi erano già state cancellate al momento dell’intervento delle autorità.
Oltre alla corruzione a favore di stranieri, gli indagati devono rispondere anche delle accuse di terrorismo eversivo. La Procura di Milano sta indagando su eventuali altre complicità, tra cui possibili collaborazioni con membri delle istituzioni italiane.
Il caso arriva in un momento di forti tensioni tra Russia e Occidente, aggravate dal conflitto in Ucraina. Le criptovalute si confermano ancora una volta uno strumento cruciale per finanziare operazioni illecite, grazie alla loro difficile tracciabilità. Gli sviluppi dell’indagine sono attesi con grande interesse, vista la delicatezza delle accuse e le implicazioni per la sicurezza nazionale.
D'altronde non è l'unica notizia di oggi relativa ai legami tra lo spionaggio e la finanza digitale. Decrypt sostiene di aver ricevuto ulteriori conferme sul fatto che Ruja Ignatova, soprannominata la “Cryptoqueen”, si trovi in Russia e che abbia basato il suo progetto OneCoin su accordi con il Cremlino e con l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, filorusso e figura determinante per l'esplosione del conflitto russo-ucraino nel 2014.
Decrpyt ha raccolto delle indagini della BBC, corroborate da testimonianze dell’ex investigatore privato Frank Schneider, secondo cui parte dei fondi riciclati attraverso OneCoin potrebbe essere connessa a reti russe. Schneider, ex spia svizzera e collaboratore di Ignatova, ha rivelato come la “Cryptoqueen” abbia usato legami con poteri russi per evitare l’estradizione.
Secondo alcune ipotesi, Ignatova potrebbe aver mantenuto il controllo dei suoi beni, stimati in miliardi di dollari, tramite intermediari in Russia. Altri rapporti suggeriscono che possa trovarsi in Sudafrica o che sia stata eliminata nel Mediterraneo. Nel frattempo, l’FBI ha aumentato la taglia sulla sua cattura a 5 milioni di dollari, segno che l’indagine internazionale è ancora in corso.
Lanciato proprio nel 2014 e promosso come un'alternativa al Bitcoin, OneCoin attirava investitori promettendo guadagni elevati attraverso un sistema di rete a più livelli simile a uno schema piramidale. Tuttavia, era molto diverso dalle altre criptovalute perché privo di una tecnologia di blockchain trasparente e verificabile. Invece, le "monete" erano generate arbitrariamente dai creatori del progetto. Inoltre, i profitti degli investitori derivavano dal reclutamento di nuovi partecipanti piuttosto che da un vero valore del prodotto. Milioni di persone in tutto il mondo sono state truffate, il che ha portato a perdite complessive per circa 4 miliardi di dollari.
Ruja Ignatova non è l'unica figura di alto profilo ricercata a livello internazionale e rifugiata in Russia ad essere riuscita ad evitare per anni le richieste di estradizione. Tra gli altri, il famoso whistleblower del governo statunitense Edward Snowden vive in Russia dal 2013.
6 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - info"ragazzi, sono avanzati 10.000€ dal budget per la carta igienica, li buttiamo nel water per far andare sti due cialtroni a far le foto al Duomo di Milano?"
Mi viene in mente, ad esempio, il caso Bitgrail.
Titoli del tipo "Beccato l'autore della truffa da 100 milioni, è italiano" (articolo pubblicato proprio sul sito della procura, poi ripreso dalla stampa).
Poi vai a vedere le carte, parli un po' con gente dentro la vicenda e scopri che intanto 100m era il valore del numero di Nano trafugati moltiplicato per il prezzo spot last, quindi totalmente scorrelato dalla realtà essendo quel mercato poco liquido (un valore realistico sarebbe stato forse 1/10, ma stando larghissimi), poi soprattutto tutti gli elementi puntavano al classico hack tramite prelievi multipli: in pratica il block explorer di quella shitcoin aggiornava molto in ritardo (spesso dopo mesi), per cui il dev si era affidato ad un tool di terze parti che in genere aggiornava prima, ma non sempre. Diverse transazioni di prelievo non venivano comunque rilevate, così il software dell'exchange rimandava. Infatti nemmeno nelle carte del processo l'imputato viene accusato di esserseli intascati lui, ma solo di negligenza lato security e di aver continuato ad operare dopo l'hack (l'idea era di refundare nel tempo con i profitti, soluzione peraltro forse migliore della chiusura e zero refunds).
Gli hackers non sono mai neanche stati cercati (troppo difficile): le indagini si sono focalizzate tutte sul bersaglio più papabile. Poi conferenze stampa e spottoni che la fanno sembrare l'indagine del secolo che FBI spostati proprio
O il caso PosteBit: "[SIZE=6]BLOCCATO CRYPTOLOCKER!!11!1[/SIZE] Erano italiani che diffondevano il virus, più di 400 aziende infettate e bla bla bla complesse indagini". Poi approfondisci un attimo e si trattava di semplici exchange che si son beccati un po' di acquisti da gente che si era presa il ransomware, che ha pensato bene di cercare di rivalersi su di loro, e le procure ovviamente via a ruota
L'unica ingenuità era accettare pagamenti su PostePay in modalità automatica, senza alcun tipo di verifica o disclaimer (che avrebbero potuto parare il culo solo tot, comunque).
E altri vari aneddoti. Ma stavolta sarà diverso...
MI pare ovvio che se corrompi un italiano la cosa passa più inosservata. Ma non erano semplici foto della città, ma di persone specifiche, insomma pedinamenti con foto.
Devi effettuare il login per poter commentare
Se non sei ancora registrato, puoi farlo attraverso questo form.
Se sei già registrato e loggato nel sito, puoi inserire il tuo commento.
Si tenga presente quanto letto nel regolamento, nel rispetto del "quieto vivere".