Amazon, il CEO nega che l'imposizione del ritorno in ufficio sia un licenziamento mascherato

In casa Amazon continua il "braccio di ferro" tra dirigenti e dipendenti sulla decisione di imporre il ritorno in ufficio per 5 giorni alla settimana. Il CEO, durante una riunione, ha negato si tratti di una tattica per ridurre il personale o compiacere le municipalità dove Amazon ha le sedi.
di Manolo De Agostini pubblicata il 06 Novembre 2024, alle 09:50 nel canale WebAmazon Web ServicesAmazon
La decisione di Amazon di imporre ai propri dipendenti il ritorno in ufficio per 5 giorni alla settimana dall'inizio del prossimo anno continua a far discutere. Durante una riunione, l'amministratore delegato Andy Jassy ha dichiarato che l'obbligo non ha lo scopo di costringere i dipendenti a licenziarsi o soddisfare le municipalità in cui Amazon ha le proprie sedi.
Il controverso piano obbliga i lavoratori a recarsi negli uffici di Amazon tutti i giorni a partire dal prossimo anno, rispetto agli attuali tre giorni. La decisione ha suscitato malumori tra i dipendenti, ormai abituati a un nuovo stile di vita.
Secondo loro, la scelta della società creata da Jeff Bezos è più severa rispetto alle altre Big Tech e, soprattutto, ridurrà l'efficienza a causa del pendolarismo. Su quest'ultimo punto i dirigenti la pensano in modo diametralmente opposto, vedendo nel lavoro in presenza un "plus" per un funzionamento migliore di tutti gli ingranaggi che compongono Amazon.
"Ho visto che alcune persone hanno teorizzato che il motivo per cui stiamo facendo questo è un licenziamento mascherato, o che abbiamo fatto una sorta di accordo con la città o le città", ha detto Jassy, secondo una trascrizione della riunione esaminata da Reuters.
Il CEO ha usato precisamente il termine "backdoor layoff", una strategia utilizzata dalle aziende per ridurre il personale senza dover annunciare ufficialmente dei licenziamenti. In pratica, le aziende implementano cambiamenti nel posto di lavoro che rendono difficile per i dipendenti rimanere, spingendoli quindi a dimettersi volontariamente.
"Posso dirvi che entrambe le cose non sono vere. Per noi non si tratta di una questione di costi. Si tratta di una questione di cultura e del suo rafforzamento", ha detto.
Il mese scorso Matt Garman, AD di Amazon Web Services, ha suggerito che i lavoratori che non vogliono rispettare la richiesta possono andarsene, spiegando che nove lavoratori su dieci con cui ha parlato sono favorevoli alla nuova policy
In realtà le cose sembra siano un po' diverse. Oltre 500 dipendenti hanno firmato una lettura in cui si implorava Garman di rivedere la decisione, osservando che l'azienda aveva operato bene da remoto e che non ci sono dati a suffragare il ritorno in ufficio. L'imposizione, inoltre, potrebbe avere un impatto maggiore sui dipendenti con problemi familiari o di salute.
10 Commenti
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Ma se fosse vero questo:
quale motivo ci sarebbe di tornare a tempo pieno in ufficio, se non il solo scopo di controllare a vista i propri subordinati?
quale motivo ci sarebbe di tornare a tempo pieno in ufficio, se non il solo scopo di controllare a vista i propri subordinati?
esattamente quello...
per il covid siamo stati in full remote per 3 mesi, il lavoro è proceduto come e meglio che il presenza.
Però, il capo, vuole vedere la gente seduta sulle scrivanie.
per il covid siamo stati in full remote per 3 mesi, il lavoro è proceduto come e meglio che il presenza.
Però, il capo, vuole vedere la gente seduta sulle scrivanie.
se gli schiavi non provano qualche disagio, la soddisfazione dov'è?
Ma guarda, ogni volta che sento menzionare lo schiavismo per questo genere di lavori, mi sento un po' ribollire il sangue, ecco.
Spiego: i contratti di lavoro vanno esaminati e firmati solo se le condizioni soddisfano entrambe le parti. Se tali condizioni dovessero mutare in corso d'opera, il lavoratore è liberissimo di rassegnare le proprie dimissioni e cercare di meglio. Tirare in ballo il concetto di schiavitù è a dir poco fuorviante. Nessuno in questo paese (o in ogni paese mediamente civilizzato) mette catene ai piedi dei lavoratori. Forse una sottile (ma frequente) perversione di chi sta al comando di qualsiasi realtà produttiva può far sì che il trattamento ricevuto dai propri impiegati sia un po' "sopra le righe", ma nulla di non ovviabile iscrivendosi a un buon sindacato.
è vero...
triste ma vero !
Spiego: i contratti di lavoro vanno esaminati e firmati solo se le condizioni soddisfano entrambe le parti. Se tali condizioni dovessero mutare in corso d'opera, il lavoratore è liberissimo di rassegnare le proprie dimissioni e cercare di meglio. Tirare in ballo il concetto di schiavitù è a dir poco fuorviante. Nessuno in questo paese (o in ogni paese mediamente civilizzato) mette catene ai piedi dei lavoratori. Forse una sottile (ma frequente) perversione di chi sta al comando di qualsiasi realtà produttiva può far sì che il trattamento ricevuto dai propri impiegati sia un po' "sopra le righe", ma nulla di non ovviabile iscrivendosi a un buon sindacato.
direi che hai spiegato benissimo la posizione che vorrebbero avere tutte le aziende nei confronti dei propri dipendenti
Azienda:
caro dipendente, da inizio del prossimo mese cambio arbitrariamente le condizioni del contratto di lavoro tra me e te, è prevista infatti un'indagine rettale quotidiana in area break (presenti tutti i dipendenti) randomica per tutti i nostri dipendenti....
come dici?..... non ti va bene?....
beh, sentiti libero di rassegnare le dimissioni in qualsiasi momento tu voglia
^^ ovviamente è un filino esagerato MA
MA a me sembra invece che prima di poter cambiare un contratto di lavoro in modo unilaterale il mondo civilizzato abbia fatto sufficienti lotte per dare dignità a chi presta il proprio lavoro per l'azienda. Altrimenti buttiamo un paio di secoli di diritti e abbracciamo il modello nord coreano
ciao ciao
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