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30-05-2009, 15:54 | #1 |
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L'ASSE BERLUSCONI - ENI - PUTIN NEL MIRINO DI OBAMA
L’ ASSE BERLUSCONI – ENI - PUTIN NEL MIRINO DI OBAMA
DI FAUSTO CARIOTI aconservativemind.blogspot.com/ L’ipotesi del “complotto” internazionale ai danni del presidente del Consiglio inizia a farsi largo anche tra chi non ha grandi simpatie per Silvio Berlusconi. Tipo Lucia Annunziata, che ieri sulla Stampa ha parlato del possibile “complotto Bilderberg”: un club dei potenti della terra che si riunisce ogni anno sotto la guida spirituale di Henry Kissinger e traccia l’indirizzo che dovrà prendere il mondo nei dodici mesi seguenti. Inutile dire che l’impronta del circolo è spiccatamente anglosassone. Tanto più lo è stata quest’anno (l’incontro è avvenuto a cavallo della metà di maggio), grazie alla presenza di numerosi plenipotenziari della diplomazia statunitense. E dato che il governo italiano è visto a Washington come la testa di ponte mediterranea della Russia di Vladimir Putin e Dmitry Medvedev, la quale oggi è ai ferri corti con gli Stati Uniti tanto quanto lo era ai tempi di George W. Bush, la voglia di tirare le somme e dire che per la Casa Bianca (e per il “circolo Bilderberg”) Berlusconi è un ostacolo da rimuovere è forte. I fedelissimi del premier, che pure sentono l’aria farsi pesante attorno al capo, per ora preferiscono puntare l’indice altrove. Tipo Niccolò Ghedini, che dice di vedere in atto «una forma di strategia di isolamento dell’Italia» e la imputa alla voglia di certi “poteri economici” di bloccare la Fiat nel momento in cui sta cercando di diventare una multinazionale dell’automobile. Ma è una lettura che rischia di peccare di ingenuità. Ciò che sta creando problemi agli Stati Uniti, infatti, non è la Fiat, ma la politica estera ed energetica italiana. In particolare, l’asse tra Berlusconi e Putin, cementato dalle intese tra Eni e Gazprom. Questo quotidiano per primo aveva scritto, sei mesi fa, che Berlusconi era riuscito a «portare l’Italia nella sfera d’influenza del Cremlino e allontanarla dall’orbita americana». Oggi lo stesso concetto appare tra le righe dei commentatori di sinistra. La situazione, da allora, si è persino fatta più complicata. Perché all’epoca alla scrivania dello studio ovale della Casa Bianca sedeva Bush, un amico del nostro presidente del consiglio. Con il quale i rapporti politici erano stati molto meno idilliaci di quanto destra e sinistra volessero far credere (lo scorso settembre il vicepresidente americano Dick Cheney era venuto a Roma per criticare l’appoggio dato da Berlusconi all’operazione militare russa in Georgia), ma il feeling personale era sempre rimasto solido. Con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca il governo italiano ha dovuto ricominciare da zero, e non è impresa facile. Anche perché Obama è personaggio freddo, calcolatore, che alla politica dei rapporti personali preferisce di gran lunga la realpolitik degli interessi. Così l’Italia, che più di tanto non ha da dare agli Stati Uniti, è stata messa nella “seconda fascia” degli alleati europei, quelli meno importanti. Stessa sorte toccata alla Spagna di José Luis Zapatero, a dimostrazione del fatto che con Obama non conta essere di destra o di sinistra, ma solo quello che puoi dare alla causa statunitense. E l’Italia, in questo momento, sta dando soprattutto rogne. L’ultima è di pochi giorni fa. Al dipartimento di Stato americano, dove le mosse dell’Eni sono seguite con attenzione - e non certo da oggi - non è passato inosservato l’accordo siglato il 15 maggio (proprio mentre in un hotel di Atene era in corso il summit del “club Bilderberg”) tra Eni e Gazprom, ultima grande intesa strategica tra le due aziende che fanno capo al governo italiano e quello russo. L’accordo prevede che la portata del gasdotto South Stream, attraverso il quale nel 2015 il gas russo arriverà copioso in Europa e soprattutto in Italia, aumenti da 31 miliardi di metri cubi l’anno a 63 miliardi. Quanto basta, in teoria, per fornire all’Italia i quattro quinti del suo fabbisogno di metano. L’enorme infrastruttura minaccia di uccidere il gasdotto rivale, Nabucco, quando questo è ancora in fase di progettazione. E Nabucco è fortemente voluto dall’amministrazione statunitense, perché farebbe arrivare in Europa il gas di Turkmenistan, Kazakistan e Paesi vicini, sottraendolo al controllo russo. La Ue sarebbe meno dipendente dal gas del Cremlino, la Russia perderebbe potere politico nei confronti dell’Europa (oltre a una quantità di soldi difficile da quantificare) e gli Stati Uniti incasserebbero una bella vittoria nello scacchiere della geopolitica. Il problema, appunto, è costituito da governo italiano ed Eni. Che a parole appoggiano ambedue i progetti, ma in realtà hanno a cuore soprattutto quello che li lega alla Russia e a Gazprom. Paolo Scaroni, amministratore delegato del cane a sei zampe, ormai dice apertamente di non credere più al progetto sponsorizzato dagli Stati Uniti. «Nabucco decollerà solo quando avrà il gas di Turkmenistan, Kazakistan e forse dell’Iran. Da quanto ho letto, questo non accadrà», ha detto Scaroni dopo l’accordo con Gazprom. Lui stesso, pochi giorni prima, siglando la maxi-intesa con i russi, aveva detto che dietro all’ampliamento della capacità di trasporto del gasdotto c’è «un grande significato politico, perché tutto questo gas arriverà in Europa senza dover più passare dal territorio dell’Ucraina». Troppo dipendenti dal gas russo? Affatto: in quelle stesse ore, Berlusconi commentava che «dovremmo essere felici che un paese amico ci dia la possibilità di avere l’energia di cui abbiamo bisogno». L’Unione europea (e gli Stati Uniti) avrebbero preferito invece mantenere in gioco l’Ucraina. A marzo, proprio per questo motivo, la Ue aveva siglato un’intesa con il governo di Kiev per ammodernare i gasdotti ucraini. «Una perdita di tempo e di mezzi finanziari», aveva commentato Scaroni, perché quell’intesa escludeva «chi il gas lo produce, cioè la Russia». Insomma, le certezze sono che il patto tra Roma e Mosca è davvero d’acciaio, e che l’intesa non è solo economica, ma - per ammissione dei protagonisti - politica. Questo per Washington è un problema. Fino a che punto l’amministrazione Obama intenda spingersi e fin dove possa arrivare, è tutto da vedere. Ma alla Casa Bianca non sono mai andati troppo per il sottile quando si tratta di avere il controllo degli idrocarburi. E credere che certe abitudini siano tramontate solo perché adesso comanda un afroamericano democratico rischia di rivelarsi un errore fatale. Fausto Carioti Fonte: http://aconservativemind.blogspot.com/ Link: http://aconservativemind.blogspot.co...el-mirino.html 29.05.2009 © Libero. Pubblicato il 29 maggio 2009.
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30-05-2009, 15:57 | #2 |
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L'ombra del complotto
L'ombra del complotto
LUCIA ANNUNZIATA Si scrive «Bilderberg», e si legge «Complotto». L’incontro annuale del gruppo che riunisce circa 150 degli uomini più influenti del pianeta (italiani inclusi). Bilderberg, che prende il nome dall’hotel olandese dove ne avvenne la fondazione nel 1954, ha attirato anche quest’anno (fra il 14 e il 17 maggio) l’attenzione di sempre. Con una notevole eccezione. Dal blog degli appassionati dei complotti mondiali (tipo infowars) stavolta l’attenzione è trasmigrata sull’autorevole quotidiano Politico.com iniziando a Washington una vera e propria caccia alla conferma o no dei presenti in Grecia. L’interesse è dovuto al fatto che all’incontro, tenutosi presso Atene nell’Hotel Astir Palace, ha partecipato un gruppo di rappresentanti di alto livello dell’Amministrazione Obama, fra cui Richard Holbrooke, inviato sulla questione Pakistan-Afghanistan, e James Steinberg, vicesegretario di Stato. La presenza di membri di un’Amministrazione Usa in queste riunioni non è inusuale - dopotutto è Henry Kissinger il grande padre di questa specie di fondazione. Ma che in questa tradizione si calasse anche l’Amministrazione Obama, considerata così di rottura, questa volta ha fatto notizia. È solo un dettaglio, dopotutto. Ma utile a far avvertire un clima. Sotto la superficie più o meno tranquilla con cui guida la sua nave il presidente americano Barack Obama, i cambi e le decisioni avviate da Washington sono tutti a pelle scoperta. In patria e altrove. Né potrebbe essere diversamente. La macchina della politica Usa, accelerata dal fuoco di combustione della crisi economica, alimenta dubbi e domande, in moltissimi Paesi. Rientra così in scena la vecchia ombra - quella dei complotti internazionali, che è sempre il sostituto per ogni mancanza di certezze. Non sarà sfuggito a molti che in queste ultime settimane alcuni quotidiani italiani riportano voci che il nostro governo teme un «complotto» appunto, che nasce negli Usa e nel mondo anglosassone in generale. E di cui i numerosi attacchi di vari quotidiani stranieri potrebbero essere, si dice, uno specchio. Il complotto è un’ombra che tradizionalmente si avverte nella politica italiana. Vi hanno fatto ricorso Andreotti e ambienti socialisti per Mani Pulite. La sinistra vi ha attinto a piene mani per molti dei suoi problemi. Oggi però pare rispuntare anche dentro il centrodestra, sostenendo che a ledere il rapporto fra Usa e Italia sia l’eccessiva vicinanza dell’attuale premier Silvio Berlusconi al premier russo Putin. Accantonando, tuttavia, le ricostruzioni fantasiose, di cui sempre i complotti fanno parte, è possibile ascoltare alcune segnalazioni interessanti da voci dentro un paio di think tank in Usa e in Gran Bretagna. La questione Putin, si dice, è senza dubbio molto sentita in Inghilterra. E non da ora. Si vada ad esempio a recuperare un vecchio articolo dell’Economist del 7 novembre 2008, cioè pochi giorni dopo l’elezione di Obama. Il titolo è da messa in guardia: «Per Obama non c’è verso di ignorare Putin», e in un passaggio vi si legge che «alcuni leader europei, dopo la vittoria di Obama, aumentano le proprie scommesse sulla Russia. Silvio Berlusconi, il presidente italiano gaffeur, ha fatto una visita a Mosca dall’interessante scelta di tempi (intriguingly timed visit to Moscow, nel testo, nda) ed ha dato vita a una controversia riferendosi ad Obama come “giovane, bello e abbronzato”». L’articolo prosegue definendo l’Italia «uno dei Paesi che si sono avvicinati a Mosca molto più di quanto Washington desideri, a partire dalla crisi in Georgia». Da allora molto tempo è passato, ma non è mai venuta meno la «specialità» di alcuni rapporti dell’Italia - quello con la Russia, e anche quello con l’Iran, come ci ha ricordato la recente cancellata visita di Frattini. Non è questione di «abbronzato» ovviamente, si dice dalla sponda americana di uno dei think tank di Washington. «È piuttosto questione di distanza siderale» nel come si guarda oggi alle relazioni internazionali. Anche qui, eliminando ogni ridicolo cenno ai complotti, basta guardare all’agenda delle visite Usa-Europa. Nei primi fatidici cento giorni l’Italia non è stata mai inclusa in nessuna delle visite ufficiali, né del Presidente Obama, né del segretario di Stato americano. L’assenza di questo passaggio - che sarà certamente recuperato con la visita del G8 - è stata notevolmente esposta proprio nel tanto celebrato primo viaggio europeo organizzato a più mani e più voci dall’amministrazione Usa in Europa. Come si ricorderà, il vicepresidente Biden scelse come sua tappa Bruxelles, mentre il Segretario di Stato Clinton, arrivata in Europa dall’Estremo Oriente, è passata per Sharm el Sheik in Egitto, per poi andare a Bruxelles, in Svizzera (per un incontro con i russi) e infine in Turchia. Obama invece ha fatto Londra, Francia, Germania e Praga. Non si trattò di un’alzata di spalle verso l’Italia, si disse. E infatti non fu uno sgarbo personale, dal momento che altre nazioni non vennero incluse. Ma in quegli itinerari c’è una logica: gli Usa attuali si rapportano all’Europa innanzitutto come istituzione collettiva, in cui privilegiare solo i rapporti con le nazioni più forti. E intendono avere con l’Europa rapporti chiari, ma non più di divisione di ruoli. Hillary Clinton, ad esempio, all’Europa diede un’indicazione chiara: unità transatlantica, ma nessun «messaggio doppio» in rapporti delicati e controversi con altri Paesi. L’avvertimento aveva a che fare con Russia e Iran, come poi si è ben visto. A proposito: l’unico incontro fra un rappresentante Usa, la Clinton, e il nostro premier, Silvio Berlusconi, è stato a Sharm el Sheik. http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tm...ione=&sezione=
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30-05-2009, 15:57 | #3 |
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che il nano d'arcore abbia fatto gli interessi del comunista; non vi e' alcun dubbio.
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30-05-2009, 15:58 | #4 |
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Quale comunista?
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30-05-2009, 16:04 | #5 |
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come posso spiegartelo, quello che circa 18 mesi fa', come naturalmente ben saprai, poco ci mancava e mandava i soldati a tallin per la questione del soldato del memoriale dell'armata rossa, che glii estoni volevano estirpare, un momunetone con un bel simbolo con falce e martello... ci furono un bel po di feriti e qualche morto...
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30-05-2009, 16:08 | #6 | |
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30-05-2009, 16:08 | #7 | |
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30-05-2009, 16:13 | #8 |
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Dal punto di vista dei Russi, la statua stà a simboleggiare l'opera dei soldati dell'Armata Rossa per difendere le repubbliche Baltiche dall'invasione nazista.
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30-05-2009, 16:15 | #9 |
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Vuoi vedere che alla fine sarà la CIA a toglierci il berlusca dalle balle?
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30-05-2009, 16:15 | #10 | |
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quella statua rappresenta oppressione non liberazione.
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30-05-2009, 16:19 | #11 |
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GOMBLODDO
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30-05-2009, 16:19 | #12 |
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Fino a prova contraria, la storia la scrive chi vince.
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30-05-2009, 16:23 | #13 | |
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Qui non si tratta di Berlusconi, ma del futuro delle riserve energetiche dell'Italia.
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30-05-2009, 16:28 | #14 |
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Tanto stai tranquillo che gli USA non si farebbero scrupoli ad attuare un attacco frontale all'Italia se lo ritenessero necessario. Non con le bombe magari... ma con armi molto più sofisticate e sottili (tipo l'Economia). E forse sarebbe anche peggio...
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30-05-2009, 16:30 | #15 |
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Da quando occupano questo paese, gli anglosassoni non si sono fatti mai scrupolo. 60 anni e sono ancora qui a schiacciarci sotto il loro tallone. Siano dannati all'inferno.
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30-05-2009, 16:36 | #16 |
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ricordo male o appena dopo la sua vittoria obama era stato definito "un clone di berlusconi"?
com'e' adesso tutta sta merda spalata sul negro? |
30-05-2009, 16:40 | #17 | |
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ps: io punto separatamente sul mossad e sui ceceni
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30-05-2009, 16:41 | #18 |
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e infatti il memoriale russo e' stato tolto.. con grande soddisfazione un simbolo dell'occupazione comunista e stato tolto; ora puoi continuare la rampicata.
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30-05-2009, 16:42 | #19 | |
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Secondo me Obama, a prescindere dal fatto che sia un buon presidente o meno, verrà schiacciato dalle pressioni conseguenti alla sua carica, e magari alla fine verrà sputato fuori e usato come capro espiatorio... |
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30-05-2009, 16:46 | #20 |
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ah bei tempi quando: "noi siamo con l'america ancor prima che l'america decida cosa fare"
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