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Old 05-03-2022, 08:06   #1
cronos1990
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Elden Ring [Recensione]

Elden Ring

Recensione fatta su richiesta di un amico. Suscettibile di modifiche a seguito di ulteriori ore di gioco.


Fughiamo subito i dubbi: Elden Ring (ER) si propone in maniera pedissequa agli oramai noti prodotti From Software: per quanto si possa discutere su quanto sia vera, l’affermazione che sia un “Dark Souls 4” non è campata per aria. Certo, le differenze ci sono e in alcuni casi sostanziali, ma nel complesso si tratta di un’evoluzione del genere basata su due elementi cardine. Il primo l’uso dell’Open-World che ha “costretto” a rivedere alcuni aspetti di base per poterli adattare alla nuova mappa, il secondo la “volontà” di legare al gameplay di base alcune dinamiche che si sono viste in Sekiro, ampliando in questo modo le possibilità offerte al giocatore e conseguentemente fornendo la possibilità di creare situazioni di gioco più varie.



Tengo a sottolineare che cercherò, nei limiti del possibile, di mantenere di atteggiamento distaccato dal gioco in se, analizzando in modo quanto più asettico dalle sensazioni soggettive il gioco. Mi scuso fin da subito se alcuni ragionamenti potranno sembrare lontani dalla realtà, all’apparenza. Questa recensione farà riferimento alla versione del gioco coi testi in italiano.



IL NOSTRO PERSONAGGIO




Più volte durante il nostro viaggio su ER avvertiremo la sensazione di “già visto”, almeno per chi è avvezzo al mondo dei Souls. Una visione sicuramente più ampia, variegata e rifinita, ma è evidente fin dalla schermata del titolo di avvio del gioco che siamo di fronte ad uno stile, una filosofia già vista da parte di From Software, che pur nell’evoluzione del genere si aggrappa fortemente alle sue certezze granitiche. Come vedremo nel corso della recensione le novità introdotte porteranno ad un tipo di esperienza diversa e indubbiamente coinvolgente, ma nella sostanza c’è poco o nulla di davvero nuovo (o meglio: innovativo), e saranno le novità vere e proprie che dovranno piegarsi in favore di un tipo di gioco oramai noto in ogni suo più piccolo aspetto.

La schermata di creazione del nostro avatar non fa eccezione. Al netto di un rinnovamento grafico, comunque limitato e una resa finale al di sotto degli standard moderni, siamo di fronte ad un copia/incolla di quella già vista nei Souls, con piccoli accorgimenti. Fin da queste prime fasi si denota l’incapacità (o l’assenza di volontà) di migliorare in quegli aspetti che da sempre sono critici.
Il nugolo di impostazioni di difficile gestione è lo stesso col quale pletore di giocatori hanno combattuto una battaglia persa in partenza, rendendo come sempre estenuante per non dire disperato il tentativo di dare un volto “umano” al nostro personaggio, soprattutto se si tratta di una femmina (piccola nota a margine: anziché scegliere tra “Maschio” e “Femmina” avremo “Tipo 1” e “Tipo 2”). Una volta scelta la nostra classe tra un ventaglio di 10 possibilità, ognuna con un proprio set di equipaggiamento di partenza, potremo addentrarci nell’Interregno; non mancherà come da tradizione un personaggio privo di qualunque cosa se non di una mazza, qui chiamato Sventurato.

Trattandosi di un’evoluzione del gameplay tipico dei Souls, la struttura del nostro alter-ego risulta decisamente familiare. Gli Attributi di Vitalità e Tempra saranno come sempre quelli fondamentali per regolare le statistiche di Punti Vita (PV) e Vigore (l’energia per compiere le varie azioni), e in seconda battuta la Mente che influenza il numero di Punti Abilità (PA) necessari per il lancio di incantesimi e l’uso di diversi tipi di capacità particolari come l’evocazione degli spiriti. L’intelaiatura quindi non cambia, se non per alcuni piccoli particolari e bilanciamenti; son state riviste le Resistenze alle varie condizioni (da segnalare un errore marchiano di traduzione, dove il termine Vitalità indica sia uno degli Attributi che una delle Resistenze), lo scaling dei vari punteggi e dei danni all’aumentare degli Attributi, e soprattutto è stata reintrodotta la Stabilità. Inserita, tolta e modificata nel corso del tempo, la Stabilità su ER è un valore che dipende dall’armatura equipaggiata e rappresenta la capacità del personaggio di resistere ai colpi, per evitare di rimanere stordito e quindi inerme per un breve lasso di tempo.
Possiamo dire: formula vincente non si cambia. Aggiungo: giustamente. Ben consci delle finalità di questo videogioco, si è cercato di mantenere il più possibile gli aspetti meglio riusciti di Dark Souls, tra cui la componente statistica del personaggio. Al netto delle novità che presenta Elden Ring e che coinvolgono anche l’arsenale a nostra disposizione, ritroviamo la stessa profondità di personalizzazione che poi si riflette nel concreto sulle possibilità concesse. La libertà fornita ci permette di essere efficaci in talune armi e capacità piuttosto che in altre, nell’ambito di scelte che ci consentono un modo di giocare ogni volta diverso. Semmai diventa più importante che in passato associare a quelle principali delle capacità secondarie di supporto, dato che la vastità del mondo di gioco non si limita all’estensione della mappa ma anche alle situazioni di gioco, rendendo utili in alcuni frangenti uno stile di combattimento che devia da quello che abbiamo costruito. In altre parole il gioco ci spinge ad un minimo di poliedricità, ma senza mai eccedere.

Siamo di fronte alla massima espressione nell’iterazione di questa struttura di base, e probabilmente anche per questioni di profonda conoscenza di questo sistema è forse l’unica area del gioco dove si ha un adattamento all’Open-World, e non il contrario (ma non un suo asservimento: ci tornerò tra poco). Laddove prima eravamo nell’ambito di spazi quasi sempre ristretti qui possiamo muoverci anche in grandissimi aree all’aperto, ma è solo uno degli aspetti. La presenza di gruppi di nemici numerosi, la possibilità di interagire in maniera più diretta e ampia con le disconnessioni del terreno, la grande varietà di attacchi che dovremo fronteggiare: tutti aspetti che hanno reso necessario una calibrazione ben precisa del sistema statistico e delle meccaniche a disposizione, con risultati mediamente di ottimo livello.



OPEN-WORLD: ESPERIMENTO RIUSCITO?


Superato il prologo e il tutorial, ci immergiamo in quella che è la novità più eclatante e pubblicizzata, l’Open-World (OW). Il primo impatto è al tempo stesso straniante e di perdizione: davanti a noi si estende una terra piena di rilievi, rovine e qualche animale che vaga per le lande desolate di questo mondo. Più avanti, in lontananza, scorgiamo una creatura a cavallo, una sorta di cavaliere con un grosso scudo e una lancia, foriero di cattivi presagi. Ancor oltre, in cima ad un altopiano, si estende un castello dalle vaste dimensioni. E cosa abbiamo in mano per affrontare il nostro lungo viaggio nell’ignoto? A pochi passi un Luogo di Grazia (l’equivalente dei falò su Dark Souls, quindi check-point e luoghi di riposo), un NPC che ci spiega lo stretto necessario e poco altro.



Per certi versi è come sentirsi “a casa”: la sensazione di smarrimento e pericolo che da sempre trasmettono i Souls qui viene banalmente amplificata e più facilmente trasmessa proprio per la nuova struttura della mappa; laddove prima dovevamo decidere di che morte morire tra 3-4 percorsi che ci venivano proposti senza peraltro avere alcuna indicazione in merito, su ER dopo esserci girati attorno probabilmente non sapremo che fare. Nella sostanza: come è strutturato l’OW?
Al costo di sembrare blasfemo, pazzo o semplicemente ignorante, per far passare alcuni concetti prenderò come riferimento altri due giochi. Il mio non vuole essere un confronto, oltretutto parliamo di prodotti che hanno finalità e concetti creativi del tutto diversi, ma presi ad esempio mi permettono di spiegare un concetto di fondo. Mi riferisco a Zelda: Breath of the Wild e uno qualunque degli ultimi Assassin’s Creed (ad esempio AC: Origins).

Quale che sia il sistema, un OW deve far fronte a due problemi intrinseci legati tra loro: la dispersività e la difficoltà a fornire una traccia di gioco (che non sia necessariamente la trama principale). Non esiste una soluzione specifica, sebbene alcune siano preferibili ad altre, almeno dal punto di vista del giocatore e la qualità complessiva del titolo. La più coerente, ma anche quella decisamente più complicata e quasi mai considerata, implica strutturare la mappa in modo tale da “viverla”, dargli quindi un senso pratico che non sia semplicemente quello estetico ed emozionale. È il caso di Zelda, il gioco che forse più di tutti estremizza questo concetto. Che sia tramite indizi trovati in giro, indicazioni dati dai vari NPC, cartelli segnaletici, indovinelli sparsi o la grande distanza visiva che ci permette di osservare grandi porzioni di territorio (in alcuni casi perfino il variare delle ombre proiettate dalla luce del Sole), è il mondo stesso che fornisce sempre al giocatore informazioni su dove trovare un dato luogo, un oggetto o come risolvere una missione. Si tratta di un approccio dinamico, coinvolgente ma anche meno immediato che chiede un minimo di attenzione in più al giocatore… ma soprattutto un gran lavoro durante lo sviluppo del gioco.
All’estremo opposto troviamo AC: Origins. In questo caso il mondo di gioco offre ben poco per permetterci di orientarci; di fatto ci troveremo a girovagare completamente a caso e spersi chissà dove se non fosse per un sistema che fornisce continuamente punti di riferimento che vengono individuati anche a grande distanza e sempre indicati sullo schermo, nonché talmente fitti che appena ci dirigiamo verso uno di essi ecco che ne spuntano fuori altri due. Il gioco quindi spinge il giocatore semplicemente dicendogli che in un certo punto si trova “qualcosa”; è un sistema innaturale, ma al tempo stesso piuttosto semplice da applicare e immediato. Il grosso limite di questa scelta è che l’OW non viene sfruttato per nulla, se non per questioni di immersività del giocatore nel mondo di gioco data dal suo impatto visivo.

Come si colloca ER? Per certi versi la soluzione adottata è unica nel suo genere, non per realizzazione ma per resa finale, e l’influenza sul giocatore positiva. Ma scevri da commenti soggettivi e analizzando nel concreto il prodotto, la via scelta da From Software è quella più semplice e “povera”: il mondo di gioco non ci propone nulla. L’ambiente (inteso non solo come il mero territorio) non offre quasi nessuna indicazione, secondo uno stile tipico delle produzioni dei Souls; si realizzerà ben presto che quel sistema di gioco è stato travasato quasi inalterato all’interno di una vasta e immensa mappa, che però risulta ben poco interattiva. E come possiamo aspettarci, non avremo certo a disposizione sistemi GPS o indicazioni di luoghi da raggiungere. Il giocatore viene letteralmente lasciato “nel suo brodo” a macerare, inconsapevole di quello che gli sta attorno ma costretto a prendere una via da seguire (anche perché rimanere fermi in un punto potrebbe non essere sicuro). Per dirla in altro modo: il mondo di gioco segue i canoni strutturali di AC: Origins, ma a differenza di questo non troviamo sopra un sistema per orientarci. E la cosa paradossale è che… funziona.
Gli stimoli per il giocatore, che forzatamente deve scoprire (e ricordarsi) tutto da solo, derivano dalla filosofia di fondo che permea la struttura del gameplay. Se in Zelda siamo portati ad esplorare il mondo per scoprire ogni volta qualcosa di nuovo e usare la fantasia per sfruttare tutte le possibilità offerte dal gioco, a volte trovando soluzioni impensabili e neanche preventivate dai programmatori, su ER siamo sempre in allerta a causa del pericolo insito ad ogni passo, continuamente messi alla prova dagli ostacoli che andremo ad affrontare e saremo ricompensati se alla fine supereremo tutte le avversità. È il “Sistema Dark Souls” che, pur calibrato quel tanto che serve, crea i presupposti per fornire al giocatore la spinta propulsiva nell’andare avanti, nonostante il mondo di gioco sia sostanzialmente una bella foto da ammirare e poco altro.

Che sia una resa voluta o nata per caso, è un tipo di approccio vincente che non avrebbe affatto funzionato con un qualunque altro tipo di gameplay. Se togliamo ad AC: Origins tutte le indicazioni ci troveremo in una situazione di partenza analoga, ma il fatto che il gioco sia come una sorta di lista di cose da fare con ben poco di concreto alle spalle (vuoi per gameplay decisamente inferiore, vuoi per assenza quasi completa di una sfida tangibile, vuoi per un sistema di ricompense di dubbia efficacia) ne verremmo ben presto a noia. Anzi, ER per certi versi è ancora più basico sotto questo punto di vista.
Non è quindi l’OW che è al “servizio” del giocatore per fornire gli scopi per continuare a giocare ed essere coinvolto, quanto più il gameplay e le meccaniche correlate ad essere funzionali per rendere l’OW attraente. Una formula vincente sotto questo punto di vista, che però mostra il fianco a tanti altri aspetti proprio per quelle che sono vere e proprie mancanze strutturali, al punto che rimane il dubbio se fosse davvero necessario questo tipo di mappa, al di là del mero aspetto estetico ed emotivo che suscita nel giocatore e che ritengo superiore alle esperienze precedenti.



OPEN-WORLD: QUINDI L’ESPERIMENTO E’ RIUSCITO?




Il mondo di gioco è quindi “assoggettato” alla filosofia e le basi concettuali dei Souls. Il che comporta tutta una serie di problematiche che anzi vengono perfino accentuate.

La mappa è letteralmente immensa, nonché ricca di diversi tipi di ambienti. Ciò che non cambia quasi mai sono alcuni stilemi di fondo, peraltro tipici delle produzioni From Software: un mondo in rovina, decadente, sull’orlo della fine. Personalmente inizio a trovare questa scelta monotona, stancante, ma indubbiamente ancora una volta la realizzazione è di notevole livello, sebbene complessivamente inferiore rispetto ad un Souls. Questo per ovvi motivi, dato che si è dovuto ricreare ambienti molto più ampi e vasti.
L’impatto visivo è tale da immergere il giocatore nell’Interregno, ma è solo uno degli aspetti. Esplorando la mappa di gioco, cosa che per quanto già scritto avverrà in maniera quasi del tutto spontanea, naturale, come un istinto primordiale, ci renderemo conto di quanto sia fitta di cose da scoprire. Anche per come sono realizzate certe meccaniche e gli spostamenti (ci tornerò più avanti) si è portati ad esplorare senza timore, e quindi nei limiti del possibile provare tutto il necessario.

Siamo però letteralmente “in mezzo ad una strada”. Buona parte dei Luoghi di Grazia, una volta sbloccati, emettono una scia luminosa che ci indica dove si trova quello successivo (visibile anche nella mappa di gioco) e soprattutto per seguire la trama principale del gioco all’inizio è molto utile; ma le indicazioni finiscono qui.
Se da un lato la completa assenza di un “sostegno” che ci porti ad esplorare viene sopperito dal gameplay in quanto tale, dall’altro non c’è nulla che ci permetta di gestire tutte le altre componenti di gioco. Non avendo alcun tipo di indicazione, si ha il forte rischio di girare a vuoto per ore e la certezza che per riuscire in taluni scopi potremmo affidarci solo al caso. Si tratta di un rischio che sui Souls era presente, ma che la struttura sequenziale a corridoio tendeva a limitare fortemente, al punto che molti scopi si potevano comunque raggiungere setacciando per bene le aree di gioco. Non esistendo vincoli “spaziali” su ER, prima di ottenere quello che cerchiamo potremmo perderci molte ore. Per esempio, può risultare molto frustrante per un incantatore non trovare nuovi incantesimi perché banalmente non riesce a trovare un venditore o oggetti incustoditi da raccogliere di suo interesse. Probabilmente seguendo quanto più possibile la trama di gioco fin dall’inizio questo problema potrebbe presentarsi in modo più limitato, ma per quanto lecito è poco sensato per lo spirito stesso del gioco. Sia perché la difficoltà di queste parti del gioco sono tali che un minimo di esplorazione del mondo di gioco è quasi dovuta, sia perché diventerebbe come un’imposizione rendendo vana la struttura dell’OW; che come pregio più evidente è quello di concedere ampia libertà d’azione al giocatore.

Più in generale il problema è che tutto è legato al caso. Risolvere una missione, come pure comprendere il perché di certe situazioni che non riusciamo a spiegarci o ottenere determinati oggetti, non è minimamente preventivabile, e generalmente molto criptico. Le missioni relative ai vari NPC sono quelle che più risentono di questa situazione. I Souls ci hanno abituato al fatto di avere ben pochi elementi, per non dire nessuno, per risolvere queste missioni, ma la struttura sequenziale del gioco e una vaga intuizione nata dalle poche frasi dette e la visione d’insieme delle zone visitate potevano comunque fornire un appiglio per poterle risolvere, per quanto complicato. Se già questo approccio a mio avviso è comunque sbagliato, in un OW la situazione diventa ancora più insensata.
L’incontro di un NPC è di per se casuale, sebbene una buona parte è difficile da mancare, e dinamiche come il luogo e il tempo dell’incontro influiscono sulla possibilità di risolvere la missione correlata o anche solo di iniziarla. Ma anche in quel caso eventuali informazioni che ci rilascia, se presenti, non forniscono mai qualcosa di concreto su cui lavorare, e la necessità di fare determinate azioni o interagire con un altro NPC che magari si trova in un luogo sconosciuto all’altro capo della mappa rendono quanto meno frustrante cercare di risolverla. Questo rende quasi inutili le varie sottotrame nonché svilenti la loro stessa realizzazione da parte dei programmatori, e fa emergere ancora una volta come la mappa di gioco non venga quasi mai sfruttata, parimenti ad un AC: Origins e agli antipodi di un Zelda: BotW.
La conseguenza più sottile riguarda però la progressione del personaggio, cioè uno degli elementi cardine di tutto il gameplay. Al netto dell’equipaggiamento iniziale che comunque offre un indirizzo e una base di sviluppo (a meno di prendere lo Sventurato), non abbiamo idea di dove trovare determinati tipi di equipaggiamenti, non sappiamo dove reperire con una certa regolarità materiali per migliorarli e di conseguenza non sappiamo mai fino a che punto conviene aumentare certi Attributi o se potenziare determinate armi o meno in attesa di trovarne altre. Vero che il gioco concede la possibilità di ridistribuire i punti Attributo spesi consentendo quindi di “rifare” il personaggio, ma anche questa possibilità è comunque correlata al fatto di scoprire dove, come e quando tale meccanica diventa disponibile. Lo stesso acquisto di alcuni consumabili è legata alla possibilità di raggiungere determinati obiettivi nel gioco.



Al netto di tutto, Elden Ring rimane essenzialmente un action in terza persona, dove passeremo il nostro tempo a menare fendenti tra uno spostamento e l’altro. Ma creare una mappa OW ha posto davanti al team di sviluppo problematiche che prima non si avvertivano, o comunque si potevano minimizzare con opportuni sistemi; novità che sono state gestite con esiti alterni.
Prendiamo la gestione dei gathering e dei consumabili. Riempire le mappe OW di materiali da raccogliere, o ottenerli dagli animali che popolano il mondo, è un aspetto comune di giochi che usano questo tipo di approccio; ed ER non fa eccezione. Come sempre il gioco non fornisce alcuna indicazione su dove trovare i vari materiali, sebbene vederli non è mai complicato (per via di una palette di colori più brillante nella maggior parte dei casi) e il mondo ne è disseminato. Su questo si innesta un sistema di crafting dei consumabili pratico e funzionale; il giocatore è in grado di fabbricarli in qualunque momento, ma deve riuscire ad ottenere la ricetta di creazione per poterlo fare. In genere sono vendute dai mercanti, o recuperabili in varie locazioni. Geniale nella sua semplicità le armi da lancio come le bombe: per crearle servono come involucro dei vasi che si trovano in numero limitato ma riutilizzabili, quindi per quanti materiali potremmo avere per “riempirli” non potremmo possedere un numero di bombe infinito.
Ma come per i nemici, anche tutti i materiali da raccogliere si resettano quando ci riposiamo in un Luogo di Grazia. Si intuisce al volo che questo consente di avere materiali in quantità industriali con un minimo di farming, soprattutto considerando che i Luoghi di Grazia sono disseminati dappertutto. Non esattamente una felice scelta di design.

Quello che emerge da un’analisi pratica è che ci troviamo di fronte ad un mondo di gioco statico, libero di essere esplorato ma che si presenta come un quadro: bello da ammirare ma ben poco interattivo. Certo, un mondo ricco di luoghi da scoprire e segreti da svelare, con qualche apprezzabile tentativo di riproporre il level-design marchio di fabbrica di From Software, ma pur sempre statico. La stessa dinamica di reset ogni volta che ci riposiamo, elemento cardine dei Souls, pone un limite nelle fondamenta la realizzazione di una sequenza di eventi dai quali il mondo ne esce modificato e da cui si possono generare nuove situazioni di gioco; che sia nel breve o nel lungo periodo. E se in un gioco a corridoio affrontato in sequenza è un “non problema”, qui mostra il fianco.
Bello il contesto, ma manca tutto il contorno a corredo. È come avere tra le mani una bella macchina dal motore prestante ma senza le ruote. La puoi ammirare ma non è funzionale. Ci si è limitati a trasferire il gameplay dei Souls con piccole correzioni di adattamento, ma la mappa OW non è stata costruita con un adeguato set funzionale di strumenti per rendere il mondo più dinamico e concreto. Data la natura del gioco questo non è un problema grave (e a volerla dire tutta un “difetto” presente in tante altre produzioni, alcune delle quali soffrono ancor di più per questa mancanza per via del diverso focus del prodotto), soprattutto per il già citato pregio che ER riesce sempre a coinvolgere il giocatore e per il fatto che la finalità del videogioco è un altro, ma rimane pur sempre un evidente limite della produzione. E dire che qualche timido tentativo comunque pare essere stato fatto, ma sembra più un evento isolato che una strutturazione concreta: come ad esempio gli sparuti casi in cui potremmo recuperare un documento che mostra una piccola mappa o l’immagine di un luogo ben preciso, dove dovremmo comprendere di che luogo su tratta per poi recarci li.



VIAGGIARE PER L’INTERREGNO




Nonostante questi limiti, abbiamo comunque a disposizione alcuni strumenti studiati per l’occasione che ci permettono di rendere più che fattibile viaggiare per il mondo di gioco. A cominciare dalla (per nulla scontata) mappa di gioco.

In questo caso possiamo dire che si copia senza mezzi termini la scelta fatta da Nintendo per Zelda: BotW. Il mondo di gioco è diviso in diversi settori, che inizialmente sulla mappa ci appaiono vuoti con i soli bordi di delimitazione. Esplorando un settore non riveleremo mai la sua topografia, sebbene verranno segnalati i vari punti di interesse di volta in volta che vengono scoperti dal giocatore. Ogni settore però possiede un luogo specifico, una sorta di stele la cui posizione è comunque segnata sulla mappa. Qui il personaggio potrà recuperare la mappa di zona, che ne svelerà la topografia. Questo ci permetterà di orientarci sebbene i punti di interesse comunque li dovremo scoprire da soli. Ho apprezzato molto questa filosofia su Zelda, non posso che fare altrettanto su ER.
La mappa è di fatto l’unico mezzo a nostra disposizione per orientarci, al di là di una bussola che compare in alto sullo schermo. Come detto non esistono né sistemi di GPS, né indicazioni nel mondo di gioco che mostrino delle direzioni o NPC da cui reperire informazioni. Visivamente si presenta dettagliata e al tempo stesso molto comprensibile, con indicate anche le scie dei Luoghi di Grazia che indirizzano dove si trova il prossimo e la possibilità di apporre fino a 100 segnalini (tra 10 di diverso tipo) e un indicatore di posizione che risulta sempre visibile anche sulla bussola. Sarebbe stato apprezzabile anche avere un sistema di annotazione, soprattutto in relazione alla completa assenza di supporto dal gioco per quanto riguarda qualunque tipo di informazione che riusciremo a recuperare (dialoghi compresi), e la possibilità di uno zoom intermedio aggiuntivo. Ricordarsi ogni frase citata spesso criptica, tenere traccia dei vari NPC e di dove si sono incontrati o ricordarsi i pochi ma sparsi indizi diventa possibile solo prendendo appunti a mano.

Visivamente (tralasciando il lato tecnico) emerge ancora una volta l’impatto visivo che i designer della From Software riescono a dare ai loro titoli. L’Interregno ci si presenta d’impatto e ricco di dettagli, con numerosi elementi disseminati e una scelta stilistica quasi sempre di ottimo livello. Complessivamente il livello è forse inferiore ai Souls, alcune zone della mappa risultano più piatte e meno evocative, ma va pur sempre ricordato le sostanziale differenza di vastità e ampiezza, e gli spazi all’aperto uniti alla distanza di visione rendono molto più complicato e complesso fornire un adeguato impatto visivo in ogni momento. I luoghi selvaggi, o comunque naturali, sono estesi e dominanti, senza tra l’altro presentare stacchi irreali tra un tipo d’ambiente e l’altro. Poche sono le strutture artificiali funzionanti e di fatto non sono presenti città popolate, al massimo alcune in rovina, oltre ai cosiddetti Legacy Dungeon; per lo più troveremo numerosi ruderi di vecchie costruzioni, castelli in rovina, ponti e poco altro. Nel complesso non possiamo che fare un plauso al comparto artistico del gioco, cui forse serviva un minimo di varietà in più.

Se da un lato scontri troppo impegnativi possono minare le certezze e lo stato mentale del giocatore, spostarsi da un luogo all’altro è fattibile con diversi sistemi e in modo abbastanza immediato. Le grosse proporzioni della mappa hanno convinto i programmatori a fornire tutti i mezzi possibili per raggiungere luoghi anche lontani in tempi brevi; fin da subito sono disponibili i teletrasporti ad un qualunque Luogo di Grazia che è stato sbloccato purchè ci si trovi fuori da un combattimento ed esclusi alcuni luoghi specifici al chiuso. Per viaggiare su tratti più brevi si può invece sfruttare una delle nuove dinamiche di gioco, ovvero Torrente, il cavallo (che in realtà sembra un incrocio con un mulo).
Al netto di qualche problema tecnico negli spostamenti, rimanere in sella a Torrente è del tutto fattibile perché al giocatore sono comunque consentite tutte le azioni di uso comune quando si è a piedi, a cominciare dalla raccolta di oggetti e consumabili. Ma più interessante riguardano le manovre concesse: il cavallo è in grado di effettuare un doppio salto che ci permette di superare dei dislivelli altrimenti impossibili da affrontare a piedi, e permette di sfruttare delle particolari correnti ascensionali che permettono di raggiungere altezze considerevoli e quindi zone apparentemente inaccessibili tramite una strada diretta.
Esistono anche altri sistemi che ci permettono di spostarci rapidamente da un luogo all’altro anche a notevoli distanze, ma lasciamo ai giocatori il brivido della scoperta.

Come per altri aspetti che esulano dal gameplay e probabilmente ritenuti secondari, anche alcune dinamiche tipiche dei giochi OW sono piuttosto marginali; in particolare la gestione dei fenomeni ambientali naturali. Il gioco presenta effetti atmosferici quali la pioggia, nebbia o forte vento, che possono presentarsi come evento casuale in alcuni luoghi, mentre in altri si presenteranno fenomeni fissi che ne caratterizzano l’ambiente; come ad esempio Grantempesta continuamente spazzata da forti burrasche. Sono elementi puramente scenici, cioè non impattano in alcun modo sul gioco, il nostro personaggio continuerà ad agire sempre allo stesso modo.
Più rilevante, sebbene ad un livello piuttosto basico, il ciclo giorno/notte. Reso visivamente meno bene rispetto a tanti altri elementi grafici, l’ora influenza la possibilità di incontrare o meno alcune creature. Per fare un esempio concreto, una coppia di boss minori noti come Cavaliere Notturno si potranno incontrare, come il nome stesso indica, soltanto durante la notte. Per controllare questa meccanica che altrimenti richiederebbe lunghi tempi di attesa, il giocatore può far rapidamente scorrere il tempo all’ora desiderata mentre si trova in un Luogo di Grazia. In misura minore l’ora del giorno influenza anche la possibilità di attivare alcuni congegni. Per il resto a livello visivo si nota generalmente poca differenza luminosa tra il giorno e la notte; in parte per questioni legate all’ambientazione, in parte per volute scelte artistiche che però in questo caso ritengo poco felice.

Uno degli aspetti che più di altri caratterizza ER sono i cosiddetti Legacy Dungeon. Nonostante il copia/incolla del sistema dei Souls, l’esperienza mentre si viaggia per l’Interregno e si indaga in tutti i suoi anfratti risulta comunque diversa, e mediamente possiamo considerare l’esplorazione decisamente più semplice (anche se presenta dei punti di difficoltà maggiore), con possibilità molto più elevate di darsi alla fuga anche grazie a Torrente, ritmi di gioco più tranquilli e anche quelli che possiamo chiamare “piccoli dungeon” (grotte, sepolcri, rovine) sono il più delle volte piuttosto corti e tendenzialmente non troppo impegnativi. Il mondo è però anche disseminato di luoghi in cui ritroviamo in tutto e per tutto il vero spirito dei Souls: per l’appunto i Legacy Dungeon. Sono zone al chiuso, come il vasto castello che si staglia in lontananza di fronte a noi una volta usciti dal tutorial, che presentano l’eccelso level-design (sebbene su più piccola scala) cui ci siamo abituati e una difficoltà decisamente superiore. Per certi versi sono questi la vera sfida da affrontare: per il tipo di spazi nei quali dovremmo muoverci, la presenza di passaggi nascosti e trappole di ogni tipo, il numero di nemici e la loro pericolosità intrinseca. E ovviamente per la presenza di boss che sono i più ardui da superare di tutto il gioco.
In generale il lavoro fatto sulla mappa di gioco è enorme; la sua estensione è tale che anche non considerando tutto quello che inevitabilmente ci perderemo per via delle scelte di base per la sua realizzazione, ci impegnerà per svariate decine di ore. La densità di luoghi da visitare è notevole, e oltretutto si estendono anche oltre quello che si può immaginare a prima vista dato che il mondo si sviluppa anche su più livelli, di fatto aumentando la superficie complessiva del mondo. Molto apprezzabile anche l’inclusione di alcune zone, a volte con delle missioni o semplici enigmi da risolvere, che per estensione e difficoltà si pongono come “via di mezzo” tra i Legacy Dungeon e le aree più piccole risolvibili in pochi minuti; permettono di mantenere un certo ritmo del gioco e quindi coinvolgimento nel giocatore, e di avere ricompense molto interessanti.



Ultima ma non ultima una considerazione sulle musiche: vuoi perché è un tema a me caro, vuoi perché troppo spesso vengono giudicate un aspetto secondario, o per nulla considerate. Si tratta di uno degli aspetti in cui la From Software ha sempre dimostrato ottime capacità, e qui non sono da meno. I temi sono di natura meno sacra ma non troppo differenti rispetto a quelli dei Souls, sicuramente con una cura che è pari a quella di DS3. Il tema principale è sicuramente più incalzante e dallo stile meno cupe (triste), per certi versi dalle note più moderne. Il più grande pregio delle musiche è quello di accompagnare gli scontri con i vari boss con temi che riescono a replicare, e quindi a sostenere e amplificare, il tipo di sensazioni che proviamo per il tipo di avversario che stiamo affrontando (in relazione al suo aspetto, il suo background e le sue capacità); di fatto buona parte dell’epicità della battaglia è dovuto al sottofondo musicale. Meno ispirate a mio avviso le musiche quando viaggiamo per l’OW: una trama musicale dai volumi bassi, ma piuttosto monotona e uguale a se stessa nel suo incedere che alla lunga diventa quasi un fastidio, oltre che fuori luogo in alcune situazioni; e in alcuni frangenti non avere alcun tipo di accompagnamento se non i suoni del mondo di gioco sarebbe stata una scelta più azzeccata.



NUOVE DINAMICHE DI GAMEPLAY




Da quanto scritto finora penso risulti evidente una cosa: nonostante possa sembrare un’affermazione di facciata e per alcuni fin troppo ardita (o banalizzante), non è affatto sbagliato definire questo gioco una sorta di Dark Souls 4. Evoluto, affinato, ampliato nelle sue dinamiche, ma la sostanza è quella. Dalla struttura statistica del personaggio, alla varietà di equipaggiamenti a disposizione, le animazioni di base, a tutta una serie di elementi accessori che ne ricalcano lo stile e le sensazioni di gioco, perfino alcune armi diventate iconiche. L’aura dei Souls aleggia a tal punto che lo stesso OW si è dovuto piegare alle sue dinamiche, con esiti generalmente positivi.
From Software quindi non stravolge il suo sistema consolidato da tempo, anzi lo sfrutta quanto più possibile per dar vita ad un’esperienza ludica tanto precisa quanto identificatrice. Semmai, attinge alle sue “esperienze collaterali” (Sekiro in primis) per effettuare una sorta di aggiornamento, aggiungendo dinamiche che si innestino sul quel substrato ma senza alterarne le dinamiche o lo spirito. Il risultato è complessivamente molto buono per quanto concerne il gameplay vero e proprio, meno per quanto riguarda altri aspetti che comunque sono in buona sostanza marginali.

Dal già citato Sekiro sono due gli elementi che sono stati trapiantati: la modalità Stealth e la capacità di salto (o meglio il funzionamento di base, che ora consente anche salti verso l’alto).
La capacità furtiva è indubbiamente quella di maggior impatto lungo tutto il gioco e maggiormente usata, sfruttabile in molte situazioni ed efficace sia per attacchi predatori alle spalle che per evitare di attirare le attenzioni nemiche e proseguire oltre. Di base il personaggio può rannicchiarsi, rendendosi meno visibile e più silenzioso sebbene più lento negli spostamenti, e può sfruttare ripari e fogliame alto per occultarsi quasi completamente alla vista nemica. È una dinamica che trova ampio utilizzo nei luoghi all’aperto, soprattutto per via della grande libertà di movimento e i numerosi ripari quali pareti di roccia o fogliame alto, meno nei luoghi al chiuso o in spazi stretti. Soprattutto quando ci addentriamo negli accampamenti nemici torna utile per poterli uccidere uno ad uno senza rischi e per evitare che le guardie diano l’allarme attirando tutti i nemici presenti. Se vogliamo fare un appunto, non sembra influenzata dalle fonti luminose e in alcune zone la sua efficacia cala parecchio.
Se lo stealth è una novità bella e funzionale, non si può lo stesso dire del salto. A differenza di Sekiro qui si tratta di un movimento piuttosto limitato, che permette di superare solo piccoli dislivelli o spiccare balzi poco lunghi; torna utile in alcuni frangenti ma di fatto aggiunge poco in termini di esplorazione, anche considerato che in molti casi conviene usare Torrente che permette di percorrere distanze più lunghe/elevate con i suoi balzi. Più interessante l’utilizzo di questa nuova mossa durante gli scontri: alcuni nemici sono stati studiati per effettuare attacchi bassi, tali per cui possono essere evitati semplicemente saltando. Questo aggiunge un poco di profondità in più durante i combattimenti e una possibilità al tempo stesso utile e pericolosa: da un lato il salto è forse l’unica azione compiuta che non consuma Vigore, dall’altro non fornisce alcun frame di invulnerabilità come invece la schivata. Oltre a questo, permette di effettuare attacchi in balzo per colpire nemici più in alto o infliggere colpi più possenti al nemico.

Ma oltre all’esperienza sfruttata dall’unico titolo dalle connotazioni prettamente orientali (giapponesi) della software house, ER presenta anche nuove meccaniche o rivisitazioni interessanti di alcuni elementi passati, funzionali non solo nell’ambito degli scontri più duri del gioco ma anche per fornire al giocatore strumenti adeguati durante la nostra esplorazione della mappa di gioco, che altrimenti potrebbe divenire inutilmente frustrante o farraginosa nel suo incedere.
Le Ceneri di Guerra sono forse l’implementazione più interessanti di tutte. Trattasi di poteri assegnabili ad un certo gruppo di armi (o anche una sola) che forniscono un potere aggiuntivo che se usato consuma PA. Le Ceneri sono equipaggiabili al Luogo di Grazia, o dal fabbro, sono intercambiabili e dal fabbro si possono potenziare o anche duplicare. Oltre a fornire una buona varietà di attacchi supplementari, inglobano al loro interno il concetto delle Infusioni visto ad esempio in Dark Souls 3: quando andiamo ad equipaggiarle possiamo cioè cambiare le caratteristiche dell’arma (migliorando lo scaling sulla Forza piuttosto che sulla Destrezza, o aumentando il danno magico a discapito di quello fisico) e farlo ogni volta che vogliamo. Questo offre un elevato vantaggio al personaggio, che non ha bisogno di effettuare una modifica permanente su un’arma per ottenere un certo tipo di effetto, permettendo di raggiungere la massima efficacia a seconda dei nemici da affrontare.
Altra novità sono le Evocazioni degli Spiriti. Si possono considerare come degli incantesimi universali, cioè non realmente correlati ad una statistica ed usabili da chiunque (previo recupero di uno specifico oggetto nelle fasi iniziali di gioco). Sempre al costo di PA, come lo stesso nome dice permettono di evocare delle creature spirituali che ci possano fornire supporto in battaglia. Ne esistono diverse da recuperare sparse per l’Interregno, ognuna con un certo tipo di efficacia, e tornano molto utili sia negli scontri contro gruppi numerosi che i boss. L’evocazione è comunque limitata ad alcuni luoghi predefiniti, quando vi ci troviamo appare a sinistra dello schermo un’icona biancastra a forma di stele, e portando avanti la quest di uno specifico NPC è possibile anche potenziarle.

Tra i diversi aspetti minori, alcuni dei quali pubblicizzati ben prima della release, ho trovato alquanto deludente la tanto citata “verticalità” del mondo di gioco. Se in Sekiro questo aspetto veniva sfruttato ampiamente, ER di fatto differisce poco o nulla con i vecchi Souls, e per diversi motivi. Lupo non solo effettuava salti molto più alti e lunghi con un’agilità superiore, ma poteva aggrapparsi alle sporgenze, aveva a disposizione un rampino che gli permetteva una mobilità spaziale elevata ed era provvisto di attacchi specifici quando piombava dall’alto: tutte cose che qui sono assenti. L’OW presenta ovviamente numerosi dislivelli, ma si tratta di aspetti comuni a qualunque gioco con questa struttura e raggiungere zone sopraelevate richiede solo il trovare la giusta strada, cosa che peraltro sembra piuttosto semplice. I Legacy Dungeon sotto questo punto di vista sono sicuramente meglio costruiti, con uno sviluppo verticale che unito al level-design fornisce ambienti articolati e complessi da scoprire… ma di fatto lo stesso avveniva nei vecchi Souls, e le dinamiche di esplorazione sono per lo più le stesse (usare ascensori, buttarsi da un parapetto su una zona più in basso, attraversare cornicioni o vie molto strette che si stagliano nel vuoto). Lo stesso salto non aggiunge nulla: si tratta di una mossa che in realtà era già presente nei Souls, la differenza sostanziale è il suo utilizzo nei combattimenti e la maggior semplicità d’uso per via della diversa mappatura dei tasti del joypad, ma nell’ambito esplorativo ha sostanzialmente la stessa funzione.

Questi sono sicuramente gli elementi che più spiccano tra le novità presenti, tra altre di natura minore (soprattutto alcuni bilanciamenti) e elementi già visti che possono risultare criptici ma che in realtà sono semplicemente stati rinominati. Non posso evitare di menzionare le cosiddette Rune Maggiori, che vengono rilasciate dai principali boss della trama di gioco. Dopo aver eseguito una procedura particolare, è possibile equipaggiarle per sfruttarne poteri specifici e probabilmente tra i più potenti di tutto il gioco. La loro attivazione richiede comunque un consumabile noto come Saetta Runica, la cui durata è fino a quando non veniamo uccisi; tali oggetti sono comunque ottenibili in diversi modi. Interessante anche l’introduzione di una terza fiaschetta tra i consumabili ripristinabili riposando al Luogo di Grazia, che è possibile personalizzare negli effetti.
In generale a livello di gameplay e meccaniche il lavoro fatto da From Software non è né marginale, né di mera facciata. Quasi sempre le novità o le modifiche apportate sono funzionali, funzionanti e trovano utilizzo in molte situazioni, e il giocatore troverà ulteriori stimoli e divertimento nello sfruttare l’ampio ventaglio di possibilità offerto. Come sempre la SH nipponica si conferma una sicurezza sia nel bene…



INTERFACCIA E ASPETTO TECNICO


…che nel male.



Inutile girarci troppo attorno: From Software ha sempre prodotto videogiochi tecnicamente arretrati rispetto alla concorrenza, potremmo dire in maniera caustica vecchi di almeno una generazione; e nonostante questo il più delle volte con una scarsa ottimizzazione e problemi prestazionali. ER non fa eccezione. Sarebbe fin troppo facile segnalare i gravi problemi di stuttering che affligge la produzione fin dalla release, ma voglio ben sperare che questa lacuna venga risolta in tempi brevi con patch correttive, anche per via dell’enorme successo avuto dal titolo. In altre parole: si spera di NON rivivere la situazione sperimentata ad esempio con la Città Infame sul primo Dark Souls.
Nonostante l’elevata abilità nel nasconderlo con scelte artistiche e di design che fanno passare tutto il secondo piano, il dettaglio poligonale e la precisione nel ricreare gli ambienti lascia piuttosto a desiderare. Sarcasticamente parlando, non è da meno la gestione dell’illuminazione e soprattutto delle ombre, che oltre ad avere una trama ben poco definita sono poco presenti e soffrono di flickering in alcune circostanze. Scarna la gestione delle luci: quelle ambientali sono sempre piuttosto piatte e solo in frangenti molto particolari possiamo ammirare gli effetti prodotti dal Sole. La luce prodotta da fonti luminose quali le torce ricalca sostanzialmente quella dei vecchi Souls, con effetti basici nei dintorni e uno stacco fin troppo netto con le zone oscure. Ben poco si salva in questo quadro generale piuttosto deludente; come gli effetti particellari, quelli relativi agli incantesimi e alcuni attacchi e la realizzazione delle fiamme. La situazione diventa ancor più impietosa se facciamo il confronto di ER con il remake di Demon’s Souls prodotto da Bluepoint, che pur rimanendo relegato sulla console Sony (quindi senza sfruttare in alcun modo le potenzialità permesse da un PC) è letteralmente un altro mondo, e la resa tecnica del prodotto rende non solo giustizia alle scenografie messe in piedi da From Software a suo tempo, ma anzi le esaltano.

Problemi che ritroviamo, come d’altro canto ci aspettavamo (ulteriore aggravante), nella gestione dell’inventario e dei sistemi di input. I comandi di gioco non sono mappabili, e se questo può essere considerato normale usando un joypad, risulta un grave errore per l’utilizzo di tastiera e mouse, per non dire inconcepibile, considerando che tra l’altro alcune scelte sono poco intuitive (come ad esempio il tasto per visualizzare la mappa di gioco, che anziché essere la comune M è la G).
L’interfaccia in generale ricalca quella che conosciamo, con alcune modifiche evidenti ma complessivamente soffre degli stessi problemi della precedente. Data l’incredibile vastità di oggetti presenti, tale per cui anche dopo svariate ore di gioco continueremo a trovarne di nuovi, si sente la mancanza di un menù che fosse più compatto e con la possibilità di avere una semplice ma pur sempre efficace lista a forma di tabella, che sarà meno bella da vedersi ma sicuramente più utile; così come la presenza di un filtro. L’inventario è strutturato per categorie, e per venirci incontro in ognuna di esse i vari oggetti sono a loro volta suddivisi in vari gruppi, ma questo rende ancor più macchinoso navigare al suo interno e soprattutto per le armi rende laborioso cercare ogni volta quella che ci interessa. Questo senza dimenticare la solita presenza di menù in cui le funzioni dei tasti cambiano tra uno e l’altro o l’impossibilità di capire al volo se un oggetto è un consumabile, è necessario equipaggiarlo o basta tenerlo in inventario. Completa questo quadro “idilliaco” una certa refrattarietà nello spostarsi tra i vari menù di gioco e l’impossibilità di poter fare confronti tra vari oggetti, cosa che rende difficile ritenere quale arma o armatura possiamo considerare più adatta ai nostri scopi.

Il fatto che From Software da sempre commette questi errori non è una scusante. Anzi, è un’aggravante perché sa benissimo di tali lacune e non fa nulla per risolverle. E se da un lato probabilmente sarebbe opportuno un cambio del motore di gioco, dall’altro alcuni degli interventi non necessitano di grossi investimenti di tempo o denaro e sarebbe lecito vederli realizzati.
Problemi che non terminano certo qui: su ER ritroviamo tutti i marchi di fabbrica della From Software, come le compenetrazioni delle armi attraverso muri e pareti che più di una volta causano imprecazioni nel giocatore, ma anche “novità poco gradite” come una certa difficoltà nell’utilizzo del cavallo per quanto riguarda gli spostamenti. Il quadro si completa con una colpevole mancanza di informazioni per quanto riguarda alcuni elementi dell’interfaccia, in particolare diversi tipi di icone che non trovano alcun tipo di descrizione e che in alcuni casi richiedono una buona dose di intuito per essere comprese. Ultimo, ma non ultimo, il becero sistema che chiude la partita in corso facendo tornare il giocatore alla schermata del titolo se salta fuori un problema sul server di gioco (anche una semplice manutenzione). Trattandosi di un gioco prettamente Single-Player, mi chiedo: è così complicato permettere al giocatore di continuare la sua partita semplicemente bloccando la parte di gioco relativa alla componente multiplayer (quindi rimuovendo i vari messaggi dei giocatori e bloccando/annullando le evocazioni e le invasioni)? È forse chiedere troppo?



CONSIDERAZIONI FINALI




ER è senza mezzi termini un gran bel prodotto, e al tempo stesso conferma pregi e difetti delle produzioni From Software. Il gameplay di primissimo livello e la vasta libertà concessa al giocatore che poi trova concretezza, senza una lunga pletora di capacità che sono solo fine a se stesse, è già di per se lo stimolo sufficiente per affrontare il gioco. La sua influenza è tale che riesce perfino a nascondere, per non dire quasi far diventare un pregio a supporto, le evidenti mancanze strutturali dell’Open-World, che però in alcuni frangenti si fanno notare e non possono essere ignorate.
Il mondo di gioco è sterminato, pieno di luoghi da scoprire ed esplorare, con alcuni piccoli enigmi e segreti da svelare ma anche ben poco di supporto al giocatore, da qualunque parte lo si voglia analizzare. Gli ambienti di gioco hanno una varietà sufficiente ma non elevata, mediamente con un’ottima realizzazione artistica e poche cadute di stile, comunque comprensibili data l’enormità dei luoghi da ricreare; lo stesso dicasi per le creature e i vari nemici che il nostro personaggio potrà incontrare. Si nota un minimo di riciclo dai Souls, come ad esempio i granchi che sono letteralmente un copia/incolla, ma niente che sotto questo punto di vista possa considerarsi un difetto.

Come da tradizione ci troviamo di fronte ad una vera sfida, dove le difficoltà e la morte non mancano e sono parte integrante dell’esperienza di gioco. Aspetti che sono edulcorati, attenuati, quando ci troviamo a girare per l’OW e a mio avviso calibrati alla perfezione per rendere l’esplorazione non frustrante ma al tempo stesso non una mera lista di cose da fare a mente spenta; e ogni luogo visitato sa offrire una ricompensa o comunque una gratificazione per l’impegno profuso dal giocatore, sebbene non è affatto detto che sia proprio quel che avremmo voluto. Il gioco ci spinge a sviluppare non solo le principali capacità che abbiamo scelto di privilegiare, ma anche quelle considerate secondarie che però hanno sempre modo di tornare utili; perfino una statistica come i PA, tradizionalmente relegata solo a chi usa gli incantesimi, trova più campi di applicazione anche per chi è un semplice guerriero.

Una produzione sontuosa, ricca di pregi ma non esente da difetti: che da un lato mostrano di offrire un’esperienza limitata e limitante, per quanto comunque coinvolgente e duratura per parecchie ore, dall’altro continuano ad essere il tallone d’Achille che già avevamo avuto modo di incontrare nella saga dei Souls. Il livello di difficoltà è più altalenante con buona parte della mappa OW sicuramente più abbordabile rispetto ai titoli precedenti, cosa che potrebbe facilitare i neofiti del genere, ai quali però non consiglio di iniziare con ER ma magari con Demon’s Souls: lo smarrimento iniziale e l’assenza totale di indicazioni risulteranno un ostacolo ben superiore rispetto alla mera difficoltà nell’affrontare uno scontro, nel quale bene o male capiremo cosa fare per superarlo.
Rispettati gli oramai classici canoni narrativi della produzione: poche e criptiche informazioni, la maggior parte il giocatore deve andarsele a cercare e poi unire i puntini in un quadro complessivo che risulta spezzettato e quindi di difficile comprensione, cosa resa ancor più estrema dalla struttura del mondo di gioco. In questo contesto sono ancor più fondamentali le descrizioni dei numerosi oggetti recuperabili in gioco, la più ampia e affidabile fonte di informazioni, ma al tempo stesso si perde parte dell’opera creativa ed è difficile capire fino a che punto arriva l’influenza di George R.R. Martin nella sua collaborazione per dare vita all’ambientazione. Ambientazione e narrazione di cui lascio ad altri esprimere un giudizio, di mio mi limito a mettere dei voti che vogliono dire tutto e niente.





Voti puramente indicativi.
Gameplay 10
Meccaniche 8
Grafica (artistico) 8,5
Grafica (tecnica) 4
Interfaccia 3,5
Ambientazione 7
Narrazione 5
Suoni e musiche 8
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