Quote:
Originariamente inviato da Pipposuperpippa
(Aggiornato il 21.02.04)
Se entrambe le vie non sono percorribili, oppure i tempi della riparazione\sostituzione si allungano oltremodo rispetto alla tempistica concordata col rivenditore in modo da arrecare disagio al cliente, è prevista la risoluzione del contratto con restituzione dei soldi (tenendo conto dell'uso del bene)
In questo caso il rivenditore deve restituire una somma pari al valore attuale del bene.
Non viene stabilito chi deve decidere sul valore da attribuire al bene: ci si richiama al buon senso per trovare un accordo.
In genere, se al rivenditore interessa mantenere un rapporto di fiducia col cliente, non ci dovrebbero essere problemi nel trovare una soluzione che soddisfi entrambi.
Alcuni rivenditori affermati, per esempio, al posto di restituire il valore attuale del bene in denaro, offrono al cliente un buono di acquisto (spendibile solo nel proprio negozio) pari alla somma spesa inizialmente per il prodotto che poi si è rivelato difettoso
)
|
personalmente non condivido tale interpretazione ...
la legge parla di risoluzione del contratto e come chiunque abbia fatto anche solo l'esame di diritto privato saprà, la risoluzione opera con effetto retroattivo tra le parti...
il contratto deve di conseguenza considerarsi tamquam non esset e quindi ciascuna parte avrà diritto di ripetere la propria prestazione: il venditore avrà diritto di vedersi restituito il bene, l'aquirente il prezzo... intero corrisposto al momento dell'acquisto... senza che possa in alcun modo influire la svalutazione o usura del bene
anche perchè un'interpretazione del genere vanificherebbe la ratio della legge
tale interpretazione sembra la classica "furbata" dei negozianti che in questi due anni hanno fatto saltimortali per sfuggire alla portata della legge.... spesso in modo indegno