sheva
03-05-2005, 15:24
Ieri ho visto la prima parte di questo bel film basato purtroppo su una storia vera ...
mi son documentato e ho trovato vari articoli tipo questo :
L’uomo sbagliato nel paese della malagiustizia, di Dimitri Buffa
L’Opinione, 6 aprile 2005
Ci sono due maniere di vedere le cose. Lo spiega la teoria del bicchiere mezzo pieno o vuoto. A seconda dell’ottimismo o del pessimismo di chi lo osserva. Daniele Barillà, nonostante sette anni passati in carcere da innocente, appartiene al primo tipo di persone.
Lo stato ancora lo deve risarcire per avergli distrutto la vita scambiandolo per un narcotrafficante durante un pedinamento a un boss che aveva una macchina identica alla sua e che differiva solo per un numero di targa, e lui durante la conferenza stampa della fiction Rai dedicata alla sua vicenda cosa dice davanti ai giornalisti che non credono alle proprie orecchie? Che ha sempre "creduto nella giustizia". Quando stava in galera, ancora prima nei primi giorni dopo l’arresto, quando venne pestato perché facesse i nomi di complici che in realtà non aveva. In seguito quando si beccava una dietro l’altra tre ingiuste condanne nei rispettivi gradi di giudizio.
Oggi che, dopo essere riuscito ad avere ragione in un processo di revisione dibattimentale che nel nostro paese non conta più di 50 casi negli ultimi 30 anni, solo dieci dei quali conclusi a favore degli imputati ricorrenti, constata l’indisponibilità della burocrazia di via Arenula nel voler mettere mano al portafoglio e pagargli 4 miseri milioni di euro che certo non gli resusciteranno la madre morta. Né il cane lasciatosi morire di fame dopo il processo di primo grado perché non aveva voluto più mangiare dopo il suo arresto. Né una piccola ma fiorente azienda di abbigliamento bruciata per pagare le spese legali del proprio calvario. Tutta questa premessa serve a spiegare che ieri, lunedì 4, e oggi, martedì 5 aprile, su Rai uno in prima serata non va in onda solamente uno sceneggiato televisivo che parla di un errore giudiziario ("L’uomo sbagliato", regia di Stefano Reali, principali interpreti Beppe Fiorello, Antonia Liskova e Alberto Molinari).
Troppo facile. La verità inconfessabile è che in quelle due serate televisive che è consigliato di non essersi perso, la Rai ha mandato in onda in onda una sorta di anticipo della riparazione morale ed economica dovuta a Daniele Barillà, presente venerdì alla conferenza stampa di presentazione dello sceneggiato nella sede storica della Rai di viale Mazzini a Roma. Barillà, come si diceva, oggi è ancora alle prese con una burocrazia che dopo 8 anni di carcere patiti ingiustamente per uno scambio di persona ancora non ha ritenuto di liquidargli i 4 milioni di euro chiesti come parziale risarcimento per una vita distrutta, una madre morta, un’azienda fallita.
Daniele Barillà, come racconta Stefano Zurlo, un cronista de "Il giornale" di Berlusconi, venne ritenuto un innocente persino dall’ex procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli che nel 1995, quando l’uomo era in carcere da oltre 3 anni, scrisse una lettera aperta ai suoi colleghi di Livorno e Genova per invitarli a riaprire il caso. In quegli anni il caso di Daniele Barillà fu forse l’unico evento giudiziario in cui si trovavano d’accordo tanto i cronisti del quotidiano del cavaliere quanto il capo della procura della Repubblica che lo indagava ormai da un anno per svariate ipotesi di reato dopo averne fatto perquisire gli uffici per centinaia di volte dalla Guardi di Finanza. La palese innocenza, la buona fede quasi masochistica di Barillà, che nello sceneggiato traspaiono, erano riuscite nel miracolo di coagulare attorno al suo caso una sorta di opinione bipartisan che comprendeva tanto i giudici milanesi quanto quella parte di opinione pubblica che milita dalla parte di Berlusconi. Ciò nonostante il meccanismo diabolico non si inceppò e Barillà si dovette fare più carcere di quanto in media se ne fà qualsiasi boss di medio o di alto calibro anche pregiudicato della mafia della droga.
Revisione che poi venne ottenuta solo nel 2001, in uno dei pochi casi andati in porto nella storia patria. Barillà, che venne scambiato nella realtà come nella fiction (in cui è impersonato da Beppe Fiorello) per una staffetta di un’organizzazione dedita al traffico in grande stile di cocaina, deve la propria sfortunata vicenda, peraltro conclusasi con un parziale lieto fine che è l’eccezione e non la regola nella giustizia italiana, ai metodi disinvolti con cui alcuni uomini di polizia giudiziaria (oggi tutti finiti sotto indagine, alcuni in carcere e altri condannati definitivamente) fanno i pedinamenti, registrano le targhe delle macchine inseguite e incrociano i dati in loro possesso.
Per non parlare di come fanno le intercettazioni telefoniche o ambientali. Un caso illuminante lo abbiamo nella famosa trascrizione a mano dei colloqui tra Squillante e i suoi coimputati nella famosa vicenda del bar Mandara, dove la microspia messa dalla polizia giudiziaria dello Sco si era rotta. Arrestato, prima, e introdotto nell’inferno carcerario, poi, Daniele Barillà ha perso tre gradi di giudizio prima che una coscienziosa pm milanese, Francesca Nanni, si accorgesse che in quella condanna definitiva a 15 anni di reclusione per traffico di droga qualcosa non tornava. Nello sceneggiato la pm ha le bellissime fattezze di Antonia Liskova.
L’unico, o quasi, giornalista italiano ad occuparsi di questa vicenda nei primi anni ‘90 fu il cronista giudiziario Stefano Zurlo, de "Il giornale", che riuscì a convincere persino Borrelli della buona fede di questo imputato che nella fiction tenta anche il suicidio in carcere. L’ingranaggio che lo stritolò dal versante giudiziario si chiama "patteggiamento", un’arma a doppio taglio che aiuta i delinquenti a uscire dopo pochi mesi dall’arresto e inguaia gli innocenti perché nessun gip da retta a loro quando si proclamano per tali. Specie se le apparenze sono tutte contro.
Per colmo delle coincidenze della sorte, uno dei carabinieri che pedinava "l’uomo sbagliato", cioè il Daniele Baroni della fiction, era proprio quel capitano "ultimo" che oltre ad avere arrestato Totò Riina il 15 gennaio 1993 divenne a sua volta protagonista di un fortunato serial Rai. Tanto che lo stesso Barillà ha raccontato con una punta di amara auto ironia che quando lui venne a sapere la cosa dai giornali mentre ancora si trovava in uno dei 24 penitenziari che gli venne fatto girare dall’amministrazione di via Arenula dell’epoca, disse al suo avvocato questa frase: "prima di sconfessare la testimonianza di un eroe come lui mi faranno fare altri quattro anni di galera". Cosa che puntualmente avvenne. In conferenza stampa, nonostante tutto, lo sfortunato protagonista di una realtà che supera persino le proiezioni fantastiche di quella fiction che alla sua storia si ispira, ha tenuto a dire che lui crede ancora alla giustizia, ha sempre avuto fiducia. E ce l’ha anche oggi mentre aspetta ancora un risarcimento che non potrà dargli indietro la madre morta di dolore né l’azienda venduta per pagare gli avvocati. Un record di buona fede. Si potrebbe dire. O di ingenuità. Al risarcimento in verità oggi come oggi la burocrazia si oppone.
Tanto che forse l’incartamento approderà presso la Corte europea dei diritti dell’uomo mettendo a rischio l’Italia di un’altra condanna quasi certa. Barillà, per ora, deve accontentarsi di un risarcimento solo simbolico. Quello di Rai fiction voluto fortemente da Agostino Saccà e prodotto da Maurizio Momi. Un po' poco per una vita rovinata. Ma è pur sempre meglio di niente con questi chiari di luna.
articolo repubblica sul film (http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/spettacoli_e_cultura/fictiontv3/uomosba/uomosba.html)
Fiction sul caso Barillà
«Così la tv mi riscatta»
Di Tiziana Lupi
Una storia talmente assurda che, probabilmente, non sarebbe mai venuta in mente ad uno sceneggiatore. Una storia in cui la verosimiglianza ha avuto, per sette lunghi anni, la meglio sulla realtà, trattenendo in carcere un innocente che aveva la sola colpa di guidare un auto troppo simile a quella di un narcotrafficante. È quella di Daniele Barillà, imprenditore brianzolo arrestato ingiustamente nel 1992, condannato a 18 anni di galera, rimesso in libertà dopo sette anni e mezzo (e dopo avere girato ben 24 penitenziari) con una manciata di scuse e un potenziale risarcimento milionario (circa otto miliardi di vecchie lire) ancora non consegnato perché attualmente in discussione all’Avvocatura dello Stato. La sua storia è diventata una fiction, L’uomo sbagliato, che Raiuno manderà in onda lunedì 4 e martedì 5 aprile, in prima serata. A prestare il volto a Barillà è Giuseppe Fiorello, affiancato nel cast da Antonia Liskova (nei panni del giovane Pm che riaprì il caso, spianando la strada alla scarcerazione di Barillà) e Alberto Molinari nel ruolo del Maggiore dei Ros a capo della squadra che effettuò l’arresto. Una squadra che, nel pedinamento dell’auto del narcotrafficante, poi scambiata con quella di Barillà, fu aiutata anche dal "mitico" capitano Ultimo che, tre anni prima, aveva catturato il capo di Cosa Nostra Totò Riina. Alla presentazione della fiction era presente anche Daniele Barillà che, inevitabilmente, ne è diventato il protagonista quasi assoluto. E che ha stupito i presenti con la sua serenità quasi disarmante: «Io, nella giustizia, ci credo. Altrimenti oggi non sarei qui. E ci ho sempre creduto. Perché quando ero in carcere, l’unico a potermi tirare fuori era un giudice». Non a caso, come lui stesso ha ricordato, Barillà ha sempre rifiutato di patteggiare la pena per abbreviare la permanenza in carcere: «Se avessi accettato, sarei uscito in sei mesi. Ma perché dichiararmi colpevole di qualcosa che non avevo fa tto? Oggi, se mi fermano mentre guido, mi smontano la macchina perché risulto ancora arrestato per possesso di cinquanta chili di cocaina». Barillà non si è sottratto alle domande sulla sua detenzione, sulla vita nel carcere (rappresentata in maniera abbastanza cruda nella fiction) e sui rapporti con gli altri detenuti: «La galera, ormai, era diventata la mia casa. Quando sono uscito, dopo venti giorni volevo tornare dentro perché non sapevo cosa fare. Avevo anche perso molti amici che si erano allontanati man mano che i giornali mi definivano l’Escobar della Brianza. Tornato in libertà io ho potuto guardarli negli occhi, loro no». I detenuti? «Hanno sbagliato, ma sono buoni. È vero, i pestaggi che si vedono nella fiction ci sono, ma è sbagliato fermarsi solo a quelli. Di me non ne potevano più di sentirmi dire che ero innocente. Ma una volta, nel 1995 a Bergamo, mentre giravano un film su Enzo Tortora, glielo avevo detto: "Un giorno faranno un film anche su di me". Oggi quel giorno è arrivato. I componenti della squadra che mi ha arrestato sono stati quasi tutti, a loro volta, arrestati. Spero che questo film aiuti il mio reinserimento nella società e aiuti coloro che non hanno la forza di resistere in galera».
Leggere di questa storia in questo periodo, con la questione Izzo e la sua facile "scarcerazione" e quello che poi è successo .... :Puke:
mi son documentato e ho trovato vari articoli tipo questo :
L’uomo sbagliato nel paese della malagiustizia, di Dimitri Buffa
L’Opinione, 6 aprile 2005
Ci sono due maniere di vedere le cose. Lo spiega la teoria del bicchiere mezzo pieno o vuoto. A seconda dell’ottimismo o del pessimismo di chi lo osserva. Daniele Barillà, nonostante sette anni passati in carcere da innocente, appartiene al primo tipo di persone.
Lo stato ancora lo deve risarcire per avergli distrutto la vita scambiandolo per un narcotrafficante durante un pedinamento a un boss che aveva una macchina identica alla sua e che differiva solo per un numero di targa, e lui durante la conferenza stampa della fiction Rai dedicata alla sua vicenda cosa dice davanti ai giornalisti che non credono alle proprie orecchie? Che ha sempre "creduto nella giustizia". Quando stava in galera, ancora prima nei primi giorni dopo l’arresto, quando venne pestato perché facesse i nomi di complici che in realtà non aveva. In seguito quando si beccava una dietro l’altra tre ingiuste condanne nei rispettivi gradi di giudizio.
Oggi che, dopo essere riuscito ad avere ragione in un processo di revisione dibattimentale che nel nostro paese non conta più di 50 casi negli ultimi 30 anni, solo dieci dei quali conclusi a favore degli imputati ricorrenti, constata l’indisponibilità della burocrazia di via Arenula nel voler mettere mano al portafoglio e pagargli 4 miseri milioni di euro che certo non gli resusciteranno la madre morta. Né il cane lasciatosi morire di fame dopo il processo di primo grado perché non aveva voluto più mangiare dopo il suo arresto. Né una piccola ma fiorente azienda di abbigliamento bruciata per pagare le spese legali del proprio calvario. Tutta questa premessa serve a spiegare che ieri, lunedì 4, e oggi, martedì 5 aprile, su Rai uno in prima serata non va in onda solamente uno sceneggiato televisivo che parla di un errore giudiziario ("L’uomo sbagliato", regia di Stefano Reali, principali interpreti Beppe Fiorello, Antonia Liskova e Alberto Molinari).
Troppo facile. La verità inconfessabile è che in quelle due serate televisive che è consigliato di non essersi perso, la Rai ha mandato in onda in onda una sorta di anticipo della riparazione morale ed economica dovuta a Daniele Barillà, presente venerdì alla conferenza stampa di presentazione dello sceneggiato nella sede storica della Rai di viale Mazzini a Roma. Barillà, come si diceva, oggi è ancora alle prese con una burocrazia che dopo 8 anni di carcere patiti ingiustamente per uno scambio di persona ancora non ha ritenuto di liquidargli i 4 milioni di euro chiesti come parziale risarcimento per una vita distrutta, una madre morta, un’azienda fallita.
Daniele Barillà, come racconta Stefano Zurlo, un cronista de "Il giornale" di Berlusconi, venne ritenuto un innocente persino dall’ex procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli che nel 1995, quando l’uomo era in carcere da oltre 3 anni, scrisse una lettera aperta ai suoi colleghi di Livorno e Genova per invitarli a riaprire il caso. In quegli anni il caso di Daniele Barillà fu forse l’unico evento giudiziario in cui si trovavano d’accordo tanto i cronisti del quotidiano del cavaliere quanto il capo della procura della Repubblica che lo indagava ormai da un anno per svariate ipotesi di reato dopo averne fatto perquisire gli uffici per centinaia di volte dalla Guardi di Finanza. La palese innocenza, la buona fede quasi masochistica di Barillà, che nello sceneggiato traspaiono, erano riuscite nel miracolo di coagulare attorno al suo caso una sorta di opinione bipartisan che comprendeva tanto i giudici milanesi quanto quella parte di opinione pubblica che milita dalla parte di Berlusconi. Ciò nonostante il meccanismo diabolico non si inceppò e Barillà si dovette fare più carcere di quanto in media se ne fà qualsiasi boss di medio o di alto calibro anche pregiudicato della mafia della droga.
Revisione che poi venne ottenuta solo nel 2001, in uno dei pochi casi andati in porto nella storia patria. Barillà, che venne scambiato nella realtà come nella fiction (in cui è impersonato da Beppe Fiorello) per una staffetta di un’organizzazione dedita al traffico in grande stile di cocaina, deve la propria sfortunata vicenda, peraltro conclusasi con un parziale lieto fine che è l’eccezione e non la regola nella giustizia italiana, ai metodi disinvolti con cui alcuni uomini di polizia giudiziaria (oggi tutti finiti sotto indagine, alcuni in carcere e altri condannati definitivamente) fanno i pedinamenti, registrano le targhe delle macchine inseguite e incrociano i dati in loro possesso.
Per non parlare di come fanno le intercettazioni telefoniche o ambientali. Un caso illuminante lo abbiamo nella famosa trascrizione a mano dei colloqui tra Squillante e i suoi coimputati nella famosa vicenda del bar Mandara, dove la microspia messa dalla polizia giudiziaria dello Sco si era rotta. Arrestato, prima, e introdotto nell’inferno carcerario, poi, Daniele Barillà ha perso tre gradi di giudizio prima che una coscienziosa pm milanese, Francesca Nanni, si accorgesse che in quella condanna definitiva a 15 anni di reclusione per traffico di droga qualcosa non tornava. Nello sceneggiato la pm ha le bellissime fattezze di Antonia Liskova.
L’unico, o quasi, giornalista italiano ad occuparsi di questa vicenda nei primi anni ‘90 fu il cronista giudiziario Stefano Zurlo, de "Il giornale", che riuscì a convincere persino Borrelli della buona fede di questo imputato che nella fiction tenta anche il suicidio in carcere. L’ingranaggio che lo stritolò dal versante giudiziario si chiama "patteggiamento", un’arma a doppio taglio che aiuta i delinquenti a uscire dopo pochi mesi dall’arresto e inguaia gli innocenti perché nessun gip da retta a loro quando si proclamano per tali. Specie se le apparenze sono tutte contro.
Per colmo delle coincidenze della sorte, uno dei carabinieri che pedinava "l’uomo sbagliato", cioè il Daniele Baroni della fiction, era proprio quel capitano "ultimo" che oltre ad avere arrestato Totò Riina il 15 gennaio 1993 divenne a sua volta protagonista di un fortunato serial Rai. Tanto che lo stesso Barillà ha raccontato con una punta di amara auto ironia che quando lui venne a sapere la cosa dai giornali mentre ancora si trovava in uno dei 24 penitenziari che gli venne fatto girare dall’amministrazione di via Arenula dell’epoca, disse al suo avvocato questa frase: "prima di sconfessare la testimonianza di un eroe come lui mi faranno fare altri quattro anni di galera". Cosa che puntualmente avvenne. In conferenza stampa, nonostante tutto, lo sfortunato protagonista di una realtà che supera persino le proiezioni fantastiche di quella fiction che alla sua storia si ispira, ha tenuto a dire che lui crede ancora alla giustizia, ha sempre avuto fiducia. E ce l’ha anche oggi mentre aspetta ancora un risarcimento che non potrà dargli indietro la madre morta di dolore né l’azienda venduta per pagare gli avvocati. Un record di buona fede. Si potrebbe dire. O di ingenuità. Al risarcimento in verità oggi come oggi la burocrazia si oppone.
Tanto che forse l’incartamento approderà presso la Corte europea dei diritti dell’uomo mettendo a rischio l’Italia di un’altra condanna quasi certa. Barillà, per ora, deve accontentarsi di un risarcimento solo simbolico. Quello di Rai fiction voluto fortemente da Agostino Saccà e prodotto da Maurizio Momi. Un po' poco per una vita rovinata. Ma è pur sempre meglio di niente con questi chiari di luna.
articolo repubblica sul film (http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/spettacoli_e_cultura/fictiontv3/uomosba/uomosba.html)
Fiction sul caso Barillà
«Così la tv mi riscatta»
Di Tiziana Lupi
Una storia talmente assurda che, probabilmente, non sarebbe mai venuta in mente ad uno sceneggiatore. Una storia in cui la verosimiglianza ha avuto, per sette lunghi anni, la meglio sulla realtà, trattenendo in carcere un innocente che aveva la sola colpa di guidare un auto troppo simile a quella di un narcotrafficante. È quella di Daniele Barillà, imprenditore brianzolo arrestato ingiustamente nel 1992, condannato a 18 anni di galera, rimesso in libertà dopo sette anni e mezzo (e dopo avere girato ben 24 penitenziari) con una manciata di scuse e un potenziale risarcimento milionario (circa otto miliardi di vecchie lire) ancora non consegnato perché attualmente in discussione all’Avvocatura dello Stato. La sua storia è diventata una fiction, L’uomo sbagliato, che Raiuno manderà in onda lunedì 4 e martedì 5 aprile, in prima serata. A prestare il volto a Barillà è Giuseppe Fiorello, affiancato nel cast da Antonia Liskova (nei panni del giovane Pm che riaprì il caso, spianando la strada alla scarcerazione di Barillà) e Alberto Molinari nel ruolo del Maggiore dei Ros a capo della squadra che effettuò l’arresto. Una squadra che, nel pedinamento dell’auto del narcotrafficante, poi scambiata con quella di Barillà, fu aiutata anche dal "mitico" capitano Ultimo che, tre anni prima, aveva catturato il capo di Cosa Nostra Totò Riina. Alla presentazione della fiction era presente anche Daniele Barillà che, inevitabilmente, ne è diventato il protagonista quasi assoluto. E che ha stupito i presenti con la sua serenità quasi disarmante: «Io, nella giustizia, ci credo. Altrimenti oggi non sarei qui. E ci ho sempre creduto. Perché quando ero in carcere, l’unico a potermi tirare fuori era un giudice». Non a caso, come lui stesso ha ricordato, Barillà ha sempre rifiutato di patteggiare la pena per abbreviare la permanenza in carcere: «Se avessi accettato, sarei uscito in sei mesi. Ma perché dichiararmi colpevole di qualcosa che non avevo fa tto? Oggi, se mi fermano mentre guido, mi smontano la macchina perché risulto ancora arrestato per possesso di cinquanta chili di cocaina». Barillà non si è sottratto alle domande sulla sua detenzione, sulla vita nel carcere (rappresentata in maniera abbastanza cruda nella fiction) e sui rapporti con gli altri detenuti: «La galera, ormai, era diventata la mia casa. Quando sono uscito, dopo venti giorni volevo tornare dentro perché non sapevo cosa fare. Avevo anche perso molti amici che si erano allontanati man mano che i giornali mi definivano l’Escobar della Brianza. Tornato in libertà io ho potuto guardarli negli occhi, loro no». I detenuti? «Hanno sbagliato, ma sono buoni. È vero, i pestaggi che si vedono nella fiction ci sono, ma è sbagliato fermarsi solo a quelli. Di me non ne potevano più di sentirmi dire che ero innocente. Ma una volta, nel 1995 a Bergamo, mentre giravano un film su Enzo Tortora, glielo avevo detto: "Un giorno faranno un film anche su di me". Oggi quel giorno è arrivato. I componenti della squadra che mi ha arrestato sono stati quasi tutti, a loro volta, arrestati. Spero che questo film aiuti il mio reinserimento nella società e aiuti coloro che non hanno la forza di resistere in galera».
Leggere di questa storia in questo periodo, con la questione Izzo e la sua facile "scarcerazione" e quello che poi è successo .... :Puke: