majin mixxi
11-01-2005, 17:58
Da “Il Teatrone della Politica”, di Filippo Ceccarelli – Longanesi & C.
«Invincibile», come ha scritto Franco Cordero, «nelle partite d'immagine e suono», Silvio Berlusconi, padrone e signore delle immagini, è il messia del dominio spettacolare che ha cambiato l'arte di governo in Italia.
Nessun altro politico, in effetti, può competere con la varietà di rappresentazioni di cui è capace il Cavaliere, che si prepara per la parte e al tempo stesso improvvisa, come i grandi attori. E lui lo è. Con la stessa apparente naturalezza può piangere davanti ai bambini dell'Uganda ricoverati al Bambin Gesù e fare «la mossa» da sciantosa quando la banda dei Carabinieri accenna a una marcetta.
In scena reagisce d'istinto, ma è controllatissimo; fa finta e fa sul serio, meglio di tanti professionisti. Ma, a differenza dei teatranti, di suo Berlusconi ha tanti soldi e forse troppo potere. Acchiappa al volo i simboli e se li gioca con l'energia del predatore arrivato al vertice di istituzioni, che sono sacre fintanto che c'è lui.
Sa farsi voler bene, ma reclama sempre attenzione, pretende l'ovazione e non si vergogna mai di nulla e di nessuno. Durante un ricevimento, entrato nello spettro visivo del presidente americano, si avvicina a un pianoforte e come chi non vuole accenna un passaggio jazz: «Ehi, George, non male, vero?» Suona e fa suonare; canta e fa cantare; sposta personalmente i divani «per creare l'atmosfera giusta».
In Consiglio dei ministri chiama l'applauso per la Moratti che ha illustrato la riforma della scuola (poi a lungo rinviata per mancanza di soldi). Cura personalmente le luci, i colori e le nuvolette degli sfondi. Calcola sempre la distanza ottimale tra sé e il pubblico e l'altezza da cui deve parlare. Non vuole mai nessuno dietro e sopra.
Alla fine saluta lento la platea, a centottanta gradi, per assecondare il movimento solenne delle telecamere; ma all'improvviso, come accaduto a Trieste, può mettersi a correre come un matto, senza alcuna ragione, e allora tutti dietro, giornalisti, gorilla, prefetti, deputati, curiosi. Gira per l'Italia con un camion pieno di marchingegni di scena, cuscini, drappi, pedane, gradini, podietti.
Vive in simbiosi con un ex operatore, ora direttore della fotografia presidenziale, l'ottimo Roberto Gasparotti, che gli fa i sopralluoghi, ma è pure incaricato di supervisionare la presenza di eventuali microspie. Quando se ne trovò una dentro un termosifone della sua casa romana - una storia rivelatasi poi abbastanza oscura - Berlusconi la mostrò ai fotografi con un movimento che nell'arte teatrale ha il nome di «ostensione».
Conosce e sfrutta la tecnica di accompagnare le parole con figure gestuali, sottolineature, enumerazioni, accentuazioni. Specula sull'attesa, costruisce l'aspettativa, lavora sulla meraviglia ed è uno specialista della «tirata», altra vecchia risorsa da palcoscenico che lui ha riadattato alla televisione: un monologo straripante e retoricamente organizzato in una serie di proposte, domande, suggerimenti, pezzi di bravura e motti di spirito. Il risultato è che in lui tutto si fa spettacolo: il cambio d'abito, la malattia superata, lo sfavillio lussuoso delle ville in Sardegna, lo shopping, il giardinaggio, l'intervento in inglese all'orto, le pennette tricolori, il picnic al gelo con Putin e un enorme colbacco di pelo...
Racconta di continuo barzellette, anche grevi. Pare che abbia un «collaudatore», il dirigente Mediaset Carlo Momigliano, che giudica se vanno bene o no. Alcune di queste storielle riguardano lui stesso, per dare il senso del livello egocentrico basti sapere che Berlusconi è arrivato a imitare la sua stessa voce.
Quasi sempre sa dove andare a parare. Fa un sacco di gaffe, ma sa pure aggiustarle, a volte con un sovrappiù di arroganza. Al posto del «popolo italiano» gli scappa «il pubblico italiano». Quando disse Romolo e «Remolo», e subito glielo fecero pesare, rispose che suonava meglio così e che ci avrebbe fatto una canzone.
Si adatta a qualsiasi tipo di pubblico stimolando incessanti e mutevoli meccanismi d'identificazione. Si definisce «donnino di casa» davanti alle casalinghe, contadino di fronte ai coltivatori diretti, imprenditore al cospetto degli industriali, supertifoso allo stadio. Di volta in volta, a seconda delle esigenze anagrafiche, si presenta come figlio, padre, nonno.
Con i bambini di solito si autonomina «zio Silvio». Se il pubblico è composto da ecclesiastici ricorda gli studi dai Salesiani; al congresso di Art fa i complimenti alle gambe delle donne sedute in prima fila; a una cerimonia FIAT, nel pieno della crisi industriale, racconta che il primo bacio l'ha dato in una Cinquecento. Ma poi convoca i manager torinesi ad Arcore, e arriva in ritardo a bordo di una Mercedes.
Osservato attraverso questa sua indubbia vocazione spettacolare, Berlusconi si rivela figura antica e moderna. In lui rivivono vari generi del teatro, dalla farsa ai Sacramentales, che sarebbero le vite dei santi e i loro miracoli. Il Cavaliere ne avrebbe compiuti come minimo due, su tifosi del Milan che alla sua voce si sarebbero alzati dalla carrozzella o risvegliati dal coma. Ma sul versante scenico il personaggio ha in sé anche molto degli antichi ciarlatani.
Ha scritto Cordero: «Dalle mie parti li chiamavano bagalun del lastex (lucido da scarpe): armati di una strenua loquela milanese, battevano fiere gremite da contadini diffidenti, prefigurando le tecniche dell'affascinamento mercantile, ottimisti, ridanciani, gesticolanti, svelti d'occhio e di mano. La provincia cuneese li considerava figure comiche, non immaginando quanto futuro covassero», anche al vertice dello Stato, con i loro «sorrisi da caimano».
Lucido da scarpe, ma anche telefoni bianchi, zio Paperone, dramma lacrimoso, karaoke. Per Berlusconi è decisivo attirare a sé il consenso dei cittadini-telespettatori. Quanto di più vicino al potere primordiale dell'ipnosi. Non di rado gli scappa qualcosa in dialetto. Con la piena consapevolezza di una sottolineatura popolaresca, Berlusconi si definisce un «fioeu», oppure un «magüt», un manovale, rivendicando «un laurà de la Madona».
Oppure, con l'aria furba, confessa: «Me vegn un dubi». Nessuno gli può e gli deve fare ombra. Come per incanto scenico, attorno a lui si materializza regolarmente un'abbondanza di servi. È l'eterna commedia italiana. Il messia sta addirittura provando a darle un ordine. Il suo.
Come tutti i messia Berlusconi incarna una trasformazione che è preannunciata e lo trascende. Non molto tempo fa, su un settimanale, venne fuori la storia e la testimonianza della signora Trudy Scharer, una vecchina svizzera di Eriswil, un paesello non lontano da Berna dove dopo l'8 settembre 1943 trovarono rifugio diversi italiani.
Lì vivevano alla buona, in un campo d'internamento; aiutavano i contadini del cantone a raccogliere le patate, per due franchi al giorno. Fra questi fuoriusciti italiani c'era Luigi Berlusconi, il papà di Silvio. Frau Scharer se lo ricordava benissimo, era diventato un amico di famiglia. Era molto diverso dagli altri italiani, tanto che presto non ebbe più bisogno di raccogliere patate perché si era messo a organizzare spettacoli teatrali per gli internati e la gente del paese.
Quindi la vecchina svizzera mostrò una foto del coro che papà Luigi aveva messo su a Eriswil. Quando si dice l'esempio.
A seguire la vocazione del personaggio si entra nella leggenda e non se ne esce più. Dicono che il piccolo Silvio andasse matto per i burattini. Li intagliava nelle cortecce dei pini, poi li pitturava, scriveva il copione e faceva tutte le voci. Un po' più grandicello, per pagarsi il cinema vicino casa, dicono pure che abbia fatto l'assistente del proiezionista, in fondo alla, sala.
Se non è vero, come diversi episodi che alimentano la sua leggenda, è comunque significativo. Ha fatto parte di una filodrammatica. Questo l'ha detto lui, non molto tempo fa, quando dovette giustificarsi per aver incoraggiato un gruppo di ambasciatori a occuparsi degli affari, invece che del Manzoni. Poi, come gli capita spesso, ha fatto marcia indietro: «Io sono un estimatore di Manzoni», ha detto. «Ho fatto accademia filodrammatica e saprei recitarlo. Ben venga Manzoni.»
Cosa sia di preciso questa «accademia filodrammatica» non è chiaro. Quanto a Manzoni non è escluso che prima o poi il presidente del Consiglio non si metta a recitarlo.
Pare che da bambino sognasse anche di fare il direttore d'orchestra. A scuola, dai Salesiani, quando arrivava qualcuno d'importante, era lui a tenere il discorso di saluto. Ma «sapeva anche improvvisare lì per lì», si legge sull'opuscolo a colori “Una storia italiana”, che Berlusconi ha spedito per posta a milioni di elettori nella primavera del 2001, e nelle cui 128 pagine egli è raffigurato, in varie pose, 250 volte.
Sempre in tale prezioso documento è racchiusa la testimonianza del suo compagno di classe, curatore dell'opuscolo e attuale sottosegretario Guido Possa: «Berlusconi suscitava invidia per il suo buon gusto nel vestire, la parola facile, la passione per lo spettacolo e il canto».
Dopo la maturità fonda un complessino musicale con Fedele Confalonieri. Si chiamano I quattro doctores, si esibiscono nei ritrovi studenteschi di Milano e nelle feste universitarie. «È con le canzonette che ho guadagnato le prime lire», ha ricordato una volta. «Se non mi fossi messo a cantare oggi Canale 5 e Publitalia non ci sarebbero.»
La tesi che qui si vorrebbe dimostrare è che senza quel genere di esperienza non ci sarebbe stato neanche il Berlusconi politico.
Da giovanotto, alle canzoni alterna lavoretti di piccolo guadagno, ma formativi per il contatto con il pubblico. Per esempio, fa il fotografo ai matrimoni. A questo proposito nelle biografie ufficiali - che nel “Venditore” Giuseppe Fiori definisce efficacemente «mitografie» - si trova scritto che scattava foto anche ai funerali.
Circostanza invero piuttosto stramba, a meno che non la si voglia interpretare come un inconsapevole tributo all'attitudine berlusconiana di fornire, già allora, immagini a ciclo continuo, lungo l'intera esistenza umana.
Dopo le foto, il mare aperto. Si imbarca dunque sulle navi della Costa Crociere come cantante e intrattenitore. Chiunque l'abbia fatto - da Gigi Proietti a Paolo Villaggio - non ha difficoltà ad ammettere che si tratta di una formidabile scuola-quadri. Anche sulle navi Berlusconi si rivela un perfetto uomo di spettacolo.
Villaggio ha ricordato che era un piccolo mito del «rimorchio». Donne giovani e meno giovani. Vai a sapere. E tuttavia anche questa attività deve aver affinato in lui le tecniche della seduzione, lasciandogli intuire i profitti che comunque si ottengono con una misurata galanteria. In altre parole, terrà sempre in gran conto le mamme e pure le nonne.
Sceso dalle navi, la tappa fondamentale - e anche la meno illuminata da biografi e mitografi - è Parigi, che negli anni Cinquanta è la capitale peccaminosa dell'Occidente. Anche qui canta, suona e intrattiene nei locali, ma la platea è più problematica: «Fino a mezzanotte c'era un certo tipo di pubblico che chiedeva canzoni francesi, poi arrivavano i marinai americani ed ero costretto a cantare canzoni napoletane tipo “'Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e luna”. Erano tempi duri. I marinai erano ubriachi fradici, mi mettevano spesso i pugni sotto il naso... »
A Parigi fa anche la guida turistica. Ufficialmente. In realtà sembra di capire che si è inventato una specie di agenzia per portare i turisti italiani nei night-club: «Li tenevamo su tutta la notte e alla mattina li portavamo alla Madeleine a sentire la messa delle passeggiatrici».
Più di una volta, anche in polemica con Chirac e Jospin che l'hanno sempre trattato un po' dall'alto in basso, Berlusconi ha accennato a «fidanzate francesi». A quei tempi pare vivesse effettivamente con una spogliarellista di Pigalle, impegnata in un locale che si chiamava Le Grand Jeu. Ma una brutta mattina arriva a Parigi papà Luigi, che lo rispedisce immediatamente a Milano, per l'esattezza alla Statale.
Si laurea con una tesi sulla pubblicità. Ma alla pubblicità egli presta anche la sua faccia e il suo tempo. Fa il modello in qualche spot. Dagli archivi RAI, nel 1997, Marco Giusti ha rintracciato un Carosello di trent'anni prima girato nientemeno che da Orson Welles per la Buton, anche se mai andato in onda. A un certo punto vi si vedeva un giovanotto, capelli fluenti, lunghe basette, baffi e smoking, che si avvicinava al bancone di un bar dicendo: «A me uno Stock 84!»
Posto di fronte al preistorico spot, Berlusconi ha negato di essere lui quel giovanotto, pur ammettendo sbrigativamente di aver fatto la comparsa per una réclame della Max Factor. Dopodiché è scappata fuori un'altra locandina pubblicitaria: della Motta, stavolta, e qui c'è lui, inequivocabilmente, vestito da calciatore che reclamizza un gelato, La Coppa dei Campioni, proprio come un trofeo calcistico che il Milan berlusconiano conquisterà.
A proposito di calcio: ha fatto anche l'allenatore. Ovviamente. Non sa trattenere consigli tecnici, anche pepati. Ne sa qualcosa Dino Zoff. Del calcio percepisce l'antica potenza dei circenses: «Signor regista, quando inquadra i giocatori del Milan, indugi sui più alti e sui più belli». Per celebrare le vittorie va negli spogliatoi, canta con loro, solleva le coppe, si commuove, continua a recitare e a far recitare.
La televisione gli scoppia tra le mani alla fine degli anni Settanta. Televisione commerciale: intrattenimento e consumo, spettacolo e pubblicità. Regala ore e ore di divertimento gratis a milioni di persone. Ha fatto tutto lui. Testimonianza di Fedele Confalonieri: «Dava suggerimenti agli autori, ai registi, agli attori. Inventava i format, i titoli dei programmi, gli slogan, le promozioni».
Scrive in quegli anni Enzo Biagi: «Avesse un tantino di tette, farebbe anche l'annunciatrice». Personaggio insieme arcaico ed evoluto, si mostra costantemente al pubblico e sui manifesti con un sorriso hollywoodiano dietro al quale lo storico inglese Stephen Gundle ha colto un tratto impercettibilmente femmineo. Forse Berlusconi conosce il potere mitico dell'androgino, forse no, in ogni caso non si adira quando un giorno un ammiratore, un fan, un tifoso o un devoto gli grida: «Silvio, sei una bella figa!»
Silvio, in realtà, conosce perfettamente l'immaginario femminile; quando curava i promo da mostrare agli inserzionisti di Publitalia, era categorico: «Per le donne voglio immagini belle, intense e che facciano sognare. Voglio una bella serie di baci».
Tra i suoi primi acquisti c'è il teatro Manzoni. Lì una sera vede recitare Veronica Lario. Come in un film di Antonioni la prima moglie sparisce nel nulla. E in seconde nozze Berlusconi si sposa un'attrice di teatro.
Inaugura lo Stile Convention. Cosi lo descrive Gigi Moncalvo in un libro, “Berlusconi in Concert”, all'interno di un capitolo a sua volta intitolato “Un uomo da palcoscenico”: «Dell'Utri saliva sul palco e diceva solo tre parole: 'Signori, Silvio Berlusconi'.
Il guizzo del presidente è da atleta, afferra il radiomicrofono, si porta al centro del palco. Pausa per far terminare l'applauso. Lieve inchino. Sospiro. Grande sorriso. Fissa negli occhi qualcuno. La luce è perfetta, come l'aveva chiesta e come la vuole. I livelli audio del microfono sono così come si era raccomandato... La sua voce è diventata calda, calda, suadente, una voce che cattura l'attenzione, che si fa ascoltare. Una voce che tiene un ritmo da spettacolo, che 'chiama' l'applauso quando egli vuole, che prepara alla battuta, che spinge al sorriso nel momento voluto... » Sembra la descrizione di una trance, di un'estasi.
Questo è l'uomo che si è preso l'Italia, che l'ha persa e poi se l'è ripresa. È difficile dire se ami veramente l'arte del teatro, o se la usi solo per fare i soldi e tenersi il potere. Dello spettacolo è il messia, ma anche il dittatore. La vecchia democrazia è lontana, quella nuova ancora non si vede troppo bene.
«Invincibile», come ha scritto Franco Cordero, «nelle partite d'immagine e suono», Silvio Berlusconi, padrone e signore delle immagini, è il messia del dominio spettacolare che ha cambiato l'arte di governo in Italia.
Nessun altro politico, in effetti, può competere con la varietà di rappresentazioni di cui è capace il Cavaliere, che si prepara per la parte e al tempo stesso improvvisa, come i grandi attori. E lui lo è. Con la stessa apparente naturalezza può piangere davanti ai bambini dell'Uganda ricoverati al Bambin Gesù e fare «la mossa» da sciantosa quando la banda dei Carabinieri accenna a una marcetta.
In scena reagisce d'istinto, ma è controllatissimo; fa finta e fa sul serio, meglio di tanti professionisti. Ma, a differenza dei teatranti, di suo Berlusconi ha tanti soldi e forse troppo potere. Acchiappa al volo i simboli e se li gioca con l'energia del predatore arrivato al vertice di istituzioni, che sono sacre fintanto che c'è lui.
Sa farsi voler bene, ma reclama sempre attenzione, pretende l'ovazione e non si vergogna mai di nulla e di nessuno. Durante un ricevimento, entrato nello spettro visivo del presidente americano, si avvicina a un pianoforte e come chi non vuole accenna un passaggio jazz: «Ehi, George, non male, vero?» Suona e fa suonare; canta e fa cantare; sposta personalmente i divani «per creare l'atmosfera giusta».
In Consiglio dei ministri chiama l'applauso per la Moratti che ha illustrato la riforma della scuola (poi a lungo rinviata per mancanza di soldi). Cura personalmente le luci, i colori e le nuvolette degli sfondi. Calcola sempre la distanza ottimale tra sé e il pubblico e l'altezza da cui deve parlare. Non vuole mai nessuno dietro e sopra.
Alla fine saluta lento la platea, a centottanta gradi, per assecondare il movimento solenne delle telecamere; ma all'improvviso, come accaduto a Trieste, può mettersi a correre come un matto, senza alcuna ragione, e allora tutti dietro, giornalisti, gorilla, prefetti, deputati, curiosi. Gira per l'Italia con un camion pieno di marchingegni di scena, cuscini, drappi, pedane, gradini, podietti.
Vive in simbiosi con un ex operatore, ora direttore della fotografia presidenziale, l'ottimo Roberto Gasparotti, che gli fa i sopralluoghi, ma è pure incaricato di supervisionare la presenza di eventuali microspie. Quando se ne trovò una dentro un termosifone della sua casa romana - una storia rivelatasi poi abbastanza oscura - Berlusconi la mostrò ai fotografi con un movimento che nell'arte teatrale ha il nome di «ostensione».
Conosce e sfrutta la tecnica di accompagnare le parole con figure gestuali, sottolineature, enumerazioni, accentuazioni. Specula sull'attesa, costruisce l'aspettativa, lavora sulla meraviglia ed è uno specialista della «tirata», altra vecchia risorsa da palcoscenico che lui ha riadattato alla televisione: un monologo straripante e retoricamente organizzato in una serie di proposte, domande, suggerimenti, pezzi di bravura e motti di spirito. Il risultato è che in lui tutto si fa spettacolo: il cambio d'abito, la malattia superata, lo sfavillio lussuoso delle ville in Sardegna, lo shopping, il giardinaggio, l'intervento in inglese all'orto, le pennette tricolori, il picnic al gelo con Putin e un enorme colbacco di pelo...
Racconta di continuo barzellette, anche grevi. Pare che abbia un «collaudatore», il dirigente Mediaset Carlo Momigliano, che giudica se vanno bene o no. Alcune di queste storielle riguardano lui stesso, per dare il senso del livello egocentrico basti sapere che Berlusconi è arrivato a imitare la sua stessa voce.
Quasi sempre sa dove andare a parare. Fa un sacco di gaffe, ma sa pure aggiustarle, a volte con un sovrappiù di arroganza. Al posto del «popolo italiano» gli scappa «il pubblico italiano». Quando disse Romolo e «Remolo», e subito glielo fecero pesare, rispose che suonava meglio così e che ci avrebbe fatto una canzone.
Si adatta a qualsiasi tipo di pubblico stimolando incessanti e mutevoli meccanismi d'identificazione. Si definisce «donnino di casa» davanti alle casalinghe, contadino di fronte ai coltivatori diretti, imprenditore al cospetto degli industriali, supertifoso allo stadio. Di volta in volta, a seconda delle esigenze anagrafiche, si presenta come figlio, padre, nonno.
Con i bambini di solito si autonomina «zio Silvio». Se il pubblico è composto da ecclesiastici ricorda gli studi dai Salesiani; al congresso di Art fa i complimenti alle gambe delle donne sedute in prima fila; a una cerimonia FIAT, nel pieno della crisi industriale, racconta che il primo bacio l'ha dato in una Cinquecento. Ma poi convoca i manager torinesi ad Arcore, e arriva in ritardo a bordo di una Mercedes.
Osservato attraverso questa sua indubbia vocazione spettacolare, Berlusconi si rivela figura antica e moderna. In lui rivivono vari generi del teatro, dalla farsa ai Sacramentales, che sarebbero le vite dei santi e i loro miracoli. Il Cavaliere ne avrebbe compiuti come minimo due, su tifosi del Milan che alla sua voce si sarebbero alzati dalla carrozzella o risvegliati dal coma. Ma sul versante scenico il personaggio ha in sé anche molto degli antichi ciarlatani.
Ha scritto Cordero: «Dalle mie parti li chiamavano bagalun del lastex (lucido da scarpe): armati di una strenua loquela milanese, battevano fiere gremite da contadini diffidenti, prefigurando le tecniche dell'affascinamento mercantile, ottimisti, ridanciani, gesticolanti, svelti d'occhio e di mano. La provincia cuneese li considerava figure comiche, non immaginando quanto futuro covassero», anche al vertice dello Stato, con i loro «sorrisi da caimano».
Lucido da scarpe, ma anche telefoni bianchi, zio Paperone, dramma lacrimoso, karaoke. Per Berlusconi è decisivo attirare a sé il consenso dei cittadini-telespettatori. Quanto di più vicino al potere primordiale dell'ipnosi. Non di rado gli scappa qualcosa in dialetto. Con la piena consapevolezza di una sottolineatura popolaresca, Berlusconi si definisce un «fioeu», oppure un «magüt», un manovale, rivendicando «un laurà de la Madona».
Oppure, con l'aria furba, confessa: «Me vegn un dubi». Nessuno gli può e gli deve fare ombra. Come per incanto scenico, attorno a lui si materializza regolarmente un'abbondanza di servi. È l'eterna commedia italiana. Il messia sta addirittura provando a darle un ordine. Il suo.
Come tutti i messia Berlusconi incarna una trasformazione che è preannunciata e lo trascende. Non molto tempo fa, su un settimanale, venne fuori la storia e la testimonianza della signora Trudy Scharer, una vecchina svizzera di Eriswil, un paesello non lontano da Berna dove dopo l'8 settembre 1943 trovarono rifugio diversi italiani.
Lì vivevano alla buona, in un campo d'internamento; aiutavano i contadini del cantone a raccogliere le patate, per due franchi al giorno. Fra questi fuoriusciti italiani c'era Luigi Berlusconi, il papà di Silvio. Frau Scharer se lo ricordava benissimo, era diventato un amico di famiglia. Era molto diverso dagli altri italiani, tanto che presto non ebbe più bisogno di raccogliere patate perché si era messo a organizzare spettacoli teatrali per gli internati e la gente del paese.
Quindi la vecchina svizzera mostrò una foto del coro che papà Luigi aveva messo su a Eriswil. Quando si dice l'esempio.
A seguire la vocazione del personaggio si entra nella leggenda e non se ne esce più. Dicono che il piccolo Silvio andasse matto per i burattini. Li intagliava nelle cortecce dei pini, poi li pitturava, scriveva il copione e faceva tutte le voci. Un po' più grandicello, per pagarsi il cinema vicino casa, dicono pure che abbia fatto l'assistente del proiezionista, in fondo alla, sala.
Se non è vero, come diversi episodi che alimentano la sua leggenda, è comunque significativo. Ha fatto parte di una filodrammatica. Questo l'ha detto lui, non molto tempo fa, quando dovette giustificarsi per aver incoraggiato un gruppo di ambasciatori a occuparsi degli affari, invece che del Manzoni. Poi, come gli capita spesso, ha fatto marcia indietro: «Io sono un estimatore di Manzoni», ha detto. «Ho fatto accademia filodrammatica e saprei recitarlo. Ben venga Manzoni.»
Cosa sia di preciso questa «accademia filodrammatica» non è chiaro. Quanto a Manzoni non è escluso che prima o poi il presidente del Consiglio non si metta a recitarlo.
Pare che da bambino sognasse anche di fare il direttore d'orchestra. A scuola, dai Salesiani, quando arrivava qualcuno d'importante, era lui a tenere il discorso di saluto. Ma «sapeva anche improvvisare lì per lì», si legge sull'opuscolo a colori “Una storia italiana”, che Berlusconi ha spedito per posta a milioni di elettori nella primavera del 2001, e nelle cui 128 pagine egli è raffigurato, in varie pose, 250 volte.
Sempre in tale prezioso documento è racchiusa la testimonianza del suo compagno di classe, curatore dell'opuscolo e attuale sottosegretario Guido Possa: «Berlusconi suscitava invidia per il suo buon gusto nel vestire, la parola facile, la passione per lo spettacolo e il canto».
Dopo la maturità fonda un complessino musicale con Fedele Confalonieri. Si chiamano I quattro doctores, si esibiscono nei ritrovi studenteschi di Milano e nelle feste universitarie. «È con le canzonette che ho guadagnato le prime lire», ha ricordato una volta. «Se non mi fossi messo a cantare oggi Canale 5 e Publitalia non ci sarebbero.»
La tesi che qui si vorrebbe dimostrare è che senza quel genere di esperienza non ci sarebbe stato neanche il Berlusconi politico.
Da giovanotto, alle canzoni alterna lavoretti di piccolo guadagno, ma formativi per il contatto con il pubblico. Per esempio, fa il fotografo ai matrimoni. A questo proposito nelle biografie ufficiali - che nel “Venditore” Giuseppe Fiori definisce efficacemente «mitografie» - si trova scritto che scattava foto anche ai funerali.
Circostanza invero piuttosto stramba, a meno che non la si voglia interpretare come un inconsapevole tributo all'attitudine berlusconiana di fornire, già allora, immagini a ciclo continuo, lungo l'intera esistenza umana.
Dopo le foto, il mare aperto. Si imbarca dunque sulle navi della Costa Crociere come cantante e intrattenitore. Chiunque l'abbia fatto - da Gigi Proietti a Paolo Villaggio - non ha difficoltà ad ammettere che si tratta di una formidabile scuola-quadri. Anche sulle navi Berlusconi si rivela un perfetto uomo di spettacolo.
Villaggio ha ricordato che era un piccolo mito del «rimorchio». Donne giovani e meno giovani. Vai a sapere. E tuttavia anche questa attività deve aver affinato in lui le tecniche della seduzione, lasciandogli intuire i profitti che comunque si ottengono con una misurata galanteria. In altre parole, terrà sempre in gran conto le mamme e pure le nonne.
Sceso dalle navi, la tappa fondamentale - e anche la meno illuminata da biografi e mitografi - è Parigi, che negli anni Cinquanta è la capitale peccaminosa dell'Occidente. Anche qui canta, suona e intrattiene nei locali, ma la platea è più problematica: «Fino a mezzanotte c'era un certo tipo di pubblico che chiedeva canzoni francesi, poi arrivavano i marinai americani ed ero costretto a cantare canzoni napoletane tipo “'Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e luna”. Erano tempi duri. I marinai erano ubriachi fradici, mi mettevano spesso i pugni sotto il naso... »
A Parigi fa anche la guida turistica. Ufficialmente. In realtà sembra di capire che si è inventato una specie di agenzia per portare i turisti italiani nei night-club: «Li tenevamo su tutta la notte e alla mattina li portavamo alla Madeleine a sentire la messa delle passeggiatrici».
Più di una volta, anche in polemica con Chirac e Jospin che l'hanno sempre trattato un po' dall'alto in basso, Berlusconi ha accennato a «fidanzate francesi». A quei tempi pare vivesse effettivamente con una spogliarellista di Pigalle, impegnata in un locale che si chiamava Le Grand Jeu. Ma una brutta mattina arriva a Parigi papà Luigi, che lo rispedisce immediatamente a Milano, per l'esattezza alla Statale.
Si laurea con una tesi sulla pubblicità. Ma alla pubblicità egli presta anche la sua faccia e il suo tempo. Fa il modello in qualche spot. Dagli archivi RAI, nel 1997, Marco Giusti ha rintracciato un Carosello di trent'anni prima girato nientemeno che da Orson Welles per la Buton, anche se mai andato in onda. A un certo punto vi si vedeva un giovanotto, capelli fluenti, lunghe basette, baffi e smoking, che si avvicinava al bancone di un bar dicendo: «A me uno Stock 84!»
Posto di fronte al preistorico spot, Berlusconi ha negato di essere lui quel giovanotto, pur ammettendo sbrigativamente di aver fatto la comparsa per una réclame della Max Factor. Dopodiché è scappata fuori un'altra locandina pubblicitaria: della Motta, stavolta, e qui c'è lui, inequivocabilmente, vestito da calciatore che reclamizza un gelato, La Coppa dei Campioni, proprio come un trofeo calcistico che il Milan berlusconiano conquisterà.
A proposito di calcio: ha fatto anche l'allenatore. Ovviamente. Non sa trattenere consigli tecnici, anche pepati. Ne sa qualcosa Dino Zoff. Del calcio percepisce l'antica potenza dei circenses: «Signor regista, quando inquadra i giocatori del Milan, indugi sui più alti e sui più belli». Per celebrare le vittorie va negli spogliatoi, canta con loro, solleva le coppe, si commuove, continua a recitare e a far recitare.
La televisione gli scoppia tra le mani alla fine degli anni Settanta. Televisione commerciale: intrattenimento e consumo, spettacolo e pubblicità. Regala ore e ore di divertimento gratis a milioni di persone. Ha fatto tutto lui. Testimonianza di Fedele Confalonieri: «Dava suggerimenti agli autori, ai registi, agli attori. Inventava i format, i titoli dei programmi, gli slogan, le promozioni».
Scrive in quegli anni Enzo Biagi: «Avesse un tantino di tette, farebbe anche l'annunciatrice». Personaggio insieme arcaico ed evoluto, si mostra costantemente al pubblico e sui manifesti con un sorriso hollywoodiano dietro al quale lo storico inglese Stephen Gundle ha colto un tratto impercettibilmente femmineo. Forse Berlusconi conosce il potere mitico dell'androgino, forse no, in ogni caso non si adira quando un giorno un ammiratore, un fan, un tifoso o un devoto gli grida: «Silvio, sei una bella figa!»
Silvio, in realtà, conosce perfettamente l'immaginario femminile; quando curava i promo da mostrare agli inserzionisti di Publitalia, era categorico: «Per le donne voglio immagini belle, intense e che facciano sognare. Voglio una bella serie di baci».
Tra i suoi primi acquisti c'è il teatro Manzoni. Lì una sera vede recitare Veronica Lario. Come in un film di Antonioni la prima moglie sparisce nel nulla. E in seconde nozze Berlusconi si sposa un'attrice di teatro.
Inaugura lo Stile Convention. Cosi lo descrive Gigi Moncalvo in un libro, “Berlusconi in Concert”, all'interno di un capitolo a sua volta intitolato “Un uomo da palcoscenico”: «Dell'Utri saliva sul palco e diceva solo tre parole: 'Signori, Silvio Berlusconi'.
Il guizzo del presidente è da atleta, afferra il radiomicrofono, si porta al centro del palco. Pausa per far terminare l'applauso. Lieve inchino. Sospiro. Grande sorriso. Fissa negli occhi qualcuno. La luce è perfetta, come l'aveva chiesta e come la vuole. I livelli audio del microfono sono così come si era raccomandato... La sua voce è diventata calda, calda, suadente, una voce che cattura l'attenzione, che si fa ascoltare. Una voce che tiene un ritmo da spettacolo, che 'chiama' l'applauso quando egli vuole, che prepara alla battuta, che spinge al sorriso nel momento voluto... » Sembra la descrizione di una trance, di un'estasi.
Questo è l'uomo che si è preso l'Italia, che l'ha persa e poi se l'è ripresa. È difficile dire se ami veramente l'arte del teatro, o se la usi solo per fare i soldi e tenersi il potere. Dello spettacolo è il messia, ma anche il dittatore. La vecchia democrazia è lontana, quella nuova ancora non si vede troppo bene.