uvz
15-12-2003, 18:28
Ho tra le mani due fumetti abbastanza insoliti: il n. 3 del "Paninaro: i nuovi galli" (marzo 1986) e
il n. 1 del "Cucador: il giornale dei veri paninari" (marzo 1986). Li ho sfogliati con curiosità e
crescente sorpresa, avvertendo a poco a poco l'incongruenza dei miei (per ora ancora pochi)
capelli grigi.
Una pretesa di identità
Al panorama già abbastanza assortito dei vari dark, new-wawe, metallari, punks e yuppies si
aggiunge ora il paninaro metropolitano, nuova specie giovanile, con pretesa di identità. Leggo in
uno dei due fumetti che "per essere paninari occorre rigorosamente vestirsi, muoversi, mangiare,
pettinarsi, profumarsi e divertirsi come dei paninari. Esserlo dentro insomma, esserlo anche
quando la sera ci si toglie la cintura "el Charro" e le "Timberland". Esserlo nel sangue e nelle ossa".
Il messaggio mi sembra piuttosto generico ed allora il giornaletto si incarica di togliermi
dall'imbarazzo, facendomi sapere che "siccome è impossibile entrare nella psicologia di una
persona, vediamo almeno di riconoscere un paninaro dall'esterno". Seguono alcune pagine che
illustrano in modo esauriente "dove vivono" "cosa e dove mangiano", "come si veste lui" e "come
si veste lei", per dare infine una sintetica "scheda del paninaro".
Un linguaggio da iniziati
La mia attenzione è attirata non tanto dalla "storia casinosa" che il fumetto svolge non senza
qualche ridicola ingenuità, ma dal linguaggio che ha tutta l'aria di essere uno codice per identificarsi
e distinguersi più che un mezzo per comunicare (per gli ignoranti c'è anche un vocabolarietto nelle
ultime pagine). Vengo così a sapere che il paninaro è un "tosto" che pensa soprattutto a
"smerigliare paninazzi" insieme a belle "sfitinzie" che ha "tacchinato" o "grippato" davanti alla
scuola.
Veste in modo "troppo giusto" a spese dei "sapiens" o "arterios" (i genitori, se non avete capito),
cercando sempre di essere "in", di "cuccare" i soldi che gli permettono di "ruotare" in Honda come
un "ramboso" per le strade di Milano e "frenare al brucio" davanti al fast-food alla moda.
Forse sono anch'io un po' "ambascione", perché faccio fatica a entrare in questo linguaggio di cui
non ci capisco "una classica catrambogia"...
Effettivamente il gergo è quasi da sètta segreta; non mancano gli accenni agli "altri", guardati con
disprezzo e con anche un po' di timore: i "cinghios", i "tamarri", i "tarri" e soprattutto i "cinesi"
(cioè quelli di sinistra); comincio a credere di non avere a che fare con gente normale, ma con
marziani che hanno sbagliato pianeta.
Page 2
Il fascino del consumo
Ma a pensarci bene il "paninaro" non è un fenomeno tanto strano; è solo l'effetto logico di una
programmata manipolazione che ha nella società dei consumi l'intelligente (e perverso) burattinaio
e nei giovani (alcuni giovani) la vittima più o meno consapevolmente consenziente.
Cerco di riordinare i "contenuti" (si far per dire) del messaggio paninaro, così come è sbandierato
nei due fumetti che tengo sul tavolo: 1. la vita consiste nel mangiare burgher, vestire capi firmati,
"scheggiare" via su potenti moto, "approviare" la "vampa" o il "gallo", andare a Montecarlo in
vacanza; 2. l'orientamento ideologico è vagamente di destra (anti-sinistra di sicuro), piuttosto
razzista (certamente antimeridionale, almeno a Milano), maschilista (anche le ragazze), piuttosto
violento e aggressivo; 3. il livello socio-economico e culturale congeniale al paninaro è quello della
buona borghesia che può permettersi tutti gli sfizi alla moda; 4. il livello degli interessi e dei valori
è desolante (musica, moda, cibi, bla-bla-bla sulle pseudo-attualità).
Non manca una certa critica sgangherata delle istituzioni: i genitori sono sempre degli ingenui da
sfruttare senza pietà (tanto, sono pieni di quattrini); i professori sono degli "ex-sessantottini"
capaci solo di "farsi" con la droga; la religione è presente nel gergo che abbonda di esclamazioni
sostitutive della bestemmia; la politica è parodiata in un fumetto "post-vietnamita" che fa il verso
al rambo nordamericano (il titolo è, significativamente, "Ronan").
Una caricatura di giovane
Vorrei sbagliarmi e credere che si tratti di una finzione da carnevale, anche se so benissimo che il
"paninaro" non rappresenta il giovane "medio" di questa generazione. Ne è solo la caricatura
estrema, che proprio per questo ne mette in evidenza alcune contraddizioni e ne sottolinea alcuni
rischi reali.
Non escludo il tipo del paninaro "ingenuo" che vive il modello come un gioco consentito a chi
deve per forza rinviare il tempo forte della responsabilità; ma vedo, con tristezza, affermarsi un
modello di vissuto adolescenziale e giovanile che giustifica la mediocrità, il disimpegno, il vuoto di
interesse.
Ancora una volta il lungo estate ci offrirà lo spettacolo deprimente degli adolescenti che si
annoiano davanti ai bar o agli angoli dei caseggiati; dei figli di papà che ammazzano il tempo sulle
spiagge alla moda; dei giovani senza arte né parte che inseguono improbabili avventure
tognazziane. Farò fatica a sopportare l'idea che questi sfacciati figli del benessere europeo fingono
di non conoscere la povertà, l'angoscia e la solitudine di troppi coetanei che nel primo come nel
terzo mondo ancora lottano per una vita più umana.
Farò fatica, ogni volta che passerò davanti ad un fastfood affollato di "tostoni dalla faccia
vitaminica" ("Paninaro" n. 3, p. 3), a dimenticare i milioni di ragazzi delle favelas di Rio, i "chicos
de la calle" che ho incontrato a Caracas, gli straccioni che ho visto a Calcutta in casa di Madre
Teresa. Farò fatica ad accettare che i nostri allegri adolescenti in timberland rappresentino il frutto
felice di una società "civile", "emancipata", "avanzata".
Con tutto ciò non ho niente contro i paninari; mi viene persino in mente che, in fondo, non sono
che bravi ragazzi a cui mai nessuno ha detto che ci si può spendere in modo più interessante e
utile; e che la vita non è solo possedere e consumare.
Page 3
L'utopia educativa, cioè la testarda speranza che una forte proposta di valore e una coerente
testimonianza di vita possa incidere sulla esperienza anche del più svagato "panozzo" non mi
abbandona. Continuo a scommettere con me stesso che ci sono vie educative capaci di far
scoppiare le contraddizioni delle non poche vite apparentemente insignificanti di certi giovani (e
non giovani) di questa generazione.
Mi ostino a leggere una voglia di umanità più grande negli occhi chiari della "sfitinzia" milanese
colta dal fotografo di "Paninaro" mentre sta "fiocinando" una pizza.
il n. 1 del "Cucador: il giornale dei veri paninari" (marzo 1986). Li ho sfogliati con curiosità e
crescente sorpresa, avvertendo a poco a poco l'incongruenza dei miei (per ora ancora pochi)
capelli grigi.
Una pretesa di identità
Al panorama già abbastanza assortito dei vari dark, new-wawe, metallari, punks e yuppies si
aggiunge ora il paninaro metropolitano, nuova specie giovanile, con pretesa di identità. Leggo in
uno dei due fumetti che "per essere paninari occorre rigorosamente vestirsi, muoversi, mangiare,
pettinarsi, profumarsi e divertirsi come dei paninari. Esserlo dentro insomma, esserlo anche
quando la sera ci si toglie la cintura "el Charro" e le "Timberland". Esserlo nel sangue e nelle ossa".
Il messaggio mi sembra piuttosto generico ed allora il giornaletto si incarica di togliermi
dall'imbarazzo, facendomi sapere che "siccome è impossibile entrare nella psicologia di una
persona, vediamo almeno di riconoscere un paninaro dall'esterno". Seguono alcune pagine che
illustrano in modo esauriente "dove vivono" "cosa e dove mangiano", "come si veste lui" e "come
si veste lei", per dare infine una sintetica "scheda del paninaro".
Un linguaggio da iniziati
La mia attenzione è attirata non tanto dalla "storia casinosa" che il fumetto svolge non senza
qualche ridicola ingenuità, ma dal linguaggio che ha tutta l'aria di essere uno codice per identificarsi
e distinguersi più che un mezzo per comunicare (per gli ignoranti c'è anche un vocabolarietto nelle
ultime pagine). Vengo così a sapere che il paninaro è un "tosto" che pensa soprattutto a
"smerigliare paninazzi" insieme a belle "sfitinzie" che ha "tacchinato" o "grippato" davanti alla
scuola.
Veste in modo "troppo giusto" a spese dei "sapiens" o "arterios" (i genitori, se non avete capito),
cercando sempre di essere "in", di "cuccare" i soldi che gli permettono di "ruotare" in Honda come
un "ramboso" per le strade di Milano e "frenare al brucio" davanti al fast-food alla moda.
Forse sono anch'io un po' "ambascione", perché faccio fatica a entrare in questo linguaggio di cui
non ci capisco "una classica catrambogia"...
Effettivamente il gergo è quasi da sètta segreta; non mancano gli accenni agli "altri", guardati con
disprezzo e con anche un po' di timore: i "cinghios", i "tamarri", i "tarri" e soprattutto i "cinesi"
(cioè quelli di sinistra); comincio a credere di non avere a che fare con gente normale, ma con
marziani che hanno sbagliato pianeta.
Page 2
Il fascino del consumo
Ma a pensarci bene il "paninaro" non è un fenomeno tanto strano; è solo l'effetto logico di una
programmata manipolazione che ha nella società dei consumi l'intelligente (e perverso) burattinaio
e nei giovani (alcuni giovani) la vittima più o meno consapevolmente consenziente.
Cerco di riordinare i "contenuti" (si far per dire) del messaggio paninaro, così come è sbandierato
nei due fumetti che tengo sul tavolo: 1. la vita consiste nel mangiare burgher, vestire capi firmati,
"scheggiare" via su potenti moto, "approviare" la "vampa" o il "gallo", andare a Montecarlo in
vacanza; 2. l'orientamento ideologico è vagamente di destra (anti-sinistra di sicuro), piuttosto
razzista (certamente antimeridionale, almeno a Milano), maschilista (anche le ragazze), piuttosto
violento e aggressivo; 3. il livello socio-economico e culturale congeniale al paninaro è quello della
buona borghesia che può permettersi tutti gli sfizi alla moda; 4. il livello degli interessi e dei valori
è desolante (musica, moda, cibi, bla-bla-bla sulle pseudo-attualità).
Non manca una certa critica sgangherata delle istituzioni: i genitori sono sempre degli ingenui da
sfruttare senza pietà (tanto, sono pieni di quattrini); i professori sono degli "ex-sessantottini"
capaci solo di "farsi" con la droga; la religione è presente nel gergo che abbonda di esclamazioni
sostitutive della bestemmia; la politica è parodiata in un fumetto "post-vietnamita" che fa il verso
al rambo nordamericano (il titolo è, significativamente, "Ronan").
Una caricatura di giovane
Vorrei sbagliarmi e credere che si tratti di una finzione da carnevale, anche se so benissimo che il
"paninaro" non rappresenta il giovane "medio" di questa generazione. Ne è solo la caricatura
estrema, che proprio per questo ne mette in evidenza alcune contraddizioni e ne sottolinea alcuni
rischi reali.
Non escludo il tipo del paninaro "ingenuo" che vive il modello come un gioco consentito a chi
deve per forza rinviare il tempo forte della responsabilità; ma vedo, con tristezza, affermarsi un
modello di vissuto adolescenziale e giovanile che giustifica la mediocrità, il disimpegno, il vuoto di
interesse.
Ancora una volta il lungo estate ci offrirà lo spettacolo deprimente degli adolescenti che si
annoiano davanti ai bar o agli angoli dei caseggiati; dei figli di papà che ammazzano il tempo sulle
spiagge alla moda; dei giovani senza arte né parte che inseguono improbabili avventure
tognazziane. Farò fatica a sopportare l'idea che questi sfacciati figli del benessere europeo fingono
di non conoscere la povertà, l'angoscia e la solitudine di troppi coetanei che nel primo come nel
terzo mondo ancora lottano per una vita più umana.
Farò fatica, ogni volta che passerò davanti ad un fastfood affollato di "tostoni dalla faccia
vitaminica" ("Paninaro" n. 3, p. 3), a dimenticare i milioni di ragazzi delle favelas di Rio, i "chicos
de la calle" che ho incontrato a Caracas, gli straccioni che ho visto a Calcutta in casa di Madre
Teresa. Farò fatica ad accettare che i nostri allegri adolescenti in timberland rappresentino il frutto
felice di una società "civile", "emancipata", "avanzata".
Con tutto ciò non ho niente contro i paninari; mi viene persino in mente che, in fondo, non sono
che bravi ragazzi a cui mai nessuno ha detto che ci si può spendere in modo più interessante e
utile; e che la vita non è solo possedere e consumare.
Page 3
L'utopia educativa, cioè la testarda speranza che una forte proposta di valore e una coerente
testimonianza di vita possa incidere sulla esperienza anche del più svagato "panozzo" non mi
abbandona. Continuo a scommettere con me stesso che ci sono vie educative capaci di far
scoppiare le contraddizioni delle non poche vite apparentemente insignificanti di certi giovani (e
non giovani) di questa generazione.
Mi ostino a leggere una voglia di umanità più grande negli occhi chiari della "sfitinzia" milanese
colta dal fotografo di "Paninaro" mentre sta "fiocinando" una pizza.