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View Full Version : Parla l'uomo dei dossier: "Così spiavo per Telecom"


Lucio Virzì
02-06-2006, 10:13
http://www.repubblica.it/2006/05/sezioni/cronaca/spionaggio-calcio/parla-007-privato/parla-007-privato.html

Emanuele Cipriani, l'uomo dei fascicoli segreti su manager e politici
"De società a Londra, dal gruppo Tronchetti ho avuto 11 milioni di euro"
Parla l'uomo dei dossier
"Così spiavo per Telecom"
di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

ROMA - Emanuele Cipriani, 46 anni, ex-funzionario della Banca Nazionale dell'Agricoltura, è "l'uomo dei dossier Telecom", per usare una formula giornalistica. Guai, però, a chiamarlo "spione". "Spione mi sembra un'insinuazione malevola. Io sono un imprenditore della sicurezza privata".

Riepiloghiamo per i lettori. A Milano, lei è indagato, con Giuliano Tavaroli, fino a pochi giorni fa capo della sicurezza aziendale Telecom e quindi Pirelli, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di notizie "sensibili".
"Alcuni dei reati che mi hanno contestato li comprendo. In altri non mi riconosco".

È un fatto che presso un collaboratore della sua agenzia di investigazioni "Polis d'istinto" è stato trovato un dvd da cui, per il momento, sono state estratte 35 mila pagine di informazioni riservate. Secondo alcuni, è solo una parte dei dossier che, per altri, sarebbero addirittura 100 mila. Cominciamo da qui. Quanti sono questi benedetti dossier? Quanti i file?
"Devo chiarire che non potrò rispondere alle domande che sono state oggetto dei miei tre interrogatori secretati. È un impegno che ho preso con il pubblico ministero e intendo rispettarlo. Vengo alla vostra domanda. Solo una piccola parte del contenuto del dvd è riservato. Non ricordo il numero dei file contenuti in quel dvd, protetto da un codice crittografico alfanumerico che io ho aperto fornendo ai magistrati la password. Posso dire che vi sono decine e decine di migliaia di pagine di testo elettronico. I dossier raccolgono più file e, per quello che posso ricordare in questo momento, saranno centinaia".

Si è detto che i dossier sono costruiti secondo un protocollo che raccoglie dati anagrafici, patrimoniali, partecipazioni in società, relazioni personali. Lo può confermare?
"È vero. Nel corso degli anni abbiamo messo a punto un format che utilizzavamo per sintetizzare al cliente le conclusioni della nostra inchiesta".

Ci può dire quali erano le singole voci del "format"?
"A questa domanda non posso rispondere".

Il dvd raccoglie comunque le indagini delle sua Polis d'istinto? E che significa poi "Polis d'istinto"?
"È diventata Polis d'istinto per un errore burocratico della segretaria del commercialista. Doveva essere Police d'istinto. Comunque, no. Il dvd raccoglie non le indagini della Polis d'istinto, ma di due mie società di investigazione privata registrate all'estero".

Quali?
"La "Worldwide Consultant Security ltd." (Wcs) di Londra, prima, e la "Security Research Advisor ltd." (Sra) sempre di Londra, dopo. La stampa ha parlato della "Plus Venture Management" (Pvm) delle Isole Vergini, ma non è una società operativa".

Queste due società e la Polis d'istinto fornivano servizi a Pirelli e Telecom?
"Diciamo che Polis d'istinto dipendeva per il 45-50 per cento del fatturato dalle commesse di Pirelli e Telecom. Wcs e Sra per il 75-80 per cento".

Quindi, i dossier all'esame della Procura di Milano sono lavoro di Polis d'istinto o di Wcs e Sra?
"Polis d'istinto, oggi di fatto in liquidazione, ha tutto in regola. Sono indagato per il lavoro svolto con le due società estere".

Quindi il denaro che le è stato sequestrato all'estero appartiene a queste due società estere?
"Esatto. E ammonta a circa 11 milioni di euro".

Si sospetta che lei abbia fatto da vettore per la creazione di fondi neri o provviste personali di dirigenti Telecom all'estero e dunque che parte di questi 11 milioni non siano suoi.
"È una sciocchezza. Quel denaro è mio. L'ho guadagnato con il mio lavoro, che è sempre stato riconosciuto come eccellente. Forse il migliore che fosse possibile reperire sul mercato italiano. Non ero un investigatore con gli occhiali neri e la macchina fotografica al collo che si dà da fare per documentare tresche e corna. Il nostro mondo si è molto evoluto. Oggi, devi essere capace di raccogliere informazioni in Sud America e in Africa. E se ti azzardi a dire riunione, invece che "staff meeting", o telefonate, invece che "conference call", appari uno sprovveduto".

Le due società estere, lei ha detto, hanno lavorato per gran parte a vantaggio di Pirelli e Telecom. Chi le commissionava le indagini?
"Il direttore della Security di Pirelli e di Telecom".

Giuliano Tavaroli?
"Negli ultimi anni, sì. Ma non solo lui. Prima, altri direttori della sicurezza".

Da quanto tempo conosce Giuliano Tavaroli?
"Da trent'anni. Eravamo quindicenni e giocavamo insieme all'oratorio di Albenga, dove allora lavorava mio padre, direttore di banca. Giuliano era stato molto sfortunato. Aveva, a quella tenera età, perso entrambi i genitori e mio padre si legò a lui come a un figlio. Da allora, la nostra amicizia non è mai venuta meno. Quando Giuliano era all'Anticrimine dei carabinieri di Milano, si fermava a Firenze ogni volta che poteva. L'ultima volta che l'ho visto è stato a febbraio dello scorso anno, al funerale di mio padre. Questo pasticcio era già cominciato. Da allora, se si escludono gli auguri di Natale, mi ha mandato un sms il giorno della nascita di mia figlia, 35 giorni fa".

Quindi era Tavaroli che le chiedeva il lavoro di informazione.
"Sì, anche lui. Aveva portato prima in Pirelli e poi in Telecom una ventata di innovazione. Un metodo. Il metodo Tavaroli aveva trasformato annoiati impiegati in intraprendenti e attivissimi funzionari della sicurezza, capaci di sorveglianza societaria e finanziaria in ogni angolo del mondo in cui quelle società avevano un qualche interesse. Oggi, se dici Pirelli non ha senso pensare soltanto ai pneumatici e ai cavi".

Lei ha lavorato per la Telecom di Colaninno, mentre lavorava per la Pirelli di Tronchetti. Quando Tronchetti ha acquisito Telecom di Colaninno, per chi dei due ha lavorato?
"Sollevai subito con Telecom e con Pirelli il mio possibile conflitto di interesse. Entrambi mi rassicurarono e, in quel periodo, Telecom mi mise a lavorare su questioni internazionali".

In quel momento decisivo per le sorti delle due aziende, immaginiamo che buone informazioni fossero merce preziosa. Possibile che non le fu chiesto nulla?
"Non mi è stato mai chiesto di tradire la fiducia dei miei committenti".

Nei file contenuti nel suo dvd, ci sono dossier che riguardano i vecchi proprietari di Telecom, come Gnutti e la sua Hopa o Consorte e la sua Unipol?
"Posso dire che né Gnutti né Consorte sono stati, in modo diretto, "soggetti di interesse" del mio lavoro. Non posso escludere che nei file ci siano riferimenti casuali alle società di Gnutti o ad Unipol".

Nel dvd ci sono dossier su politici?
"Non posso continuare a rispondere. Posso solo dire che ci sono file che riguardano persone fisiche e giuridiche".

È un fatto certo che ci sia un lavoro di investigazione su un arbitro di calcio: Massimo De Santis. Da chi le fu commissionato?
"Dalla Pirelli".

Da chi in Pirelli?
"Non, come ho letto, dal dottor Tronchetti Provera che non ho mai incontrato. Fu un incarico come gli altri".

E si chiese il motivo di quell'obiettivo così eccentrico? Immaginò che fosse un lavoro per l'Inter?
"Non facevo domande. Mi preoccupavo soltanto di dare risposte. Puntuali e sollecite".

A un amico come Tavaroli, una domandina la si poteva fare.
"Non conoscete Giuliano. L'amicizia è la prima cosa che accantona quando si lavora. Mi è toccato più di una volta subire, anche in pubblico, qualche sonoro cazziatone".

Ha investigato su altri personaggi del mondo del calcio?
"Non ricordo nel dettaglio, ma lo escluderei".

Un altro dossier di cui si favoleggia è quello che riguarda Afef, la moglie di Marco Tronchetti Provera. Nel dvd-archivio ci sarebbero informazioni che la riguardano.
"Questa è un'infamia. Io sono un professionista corretto. E mi sale il sangue alla testa se mi si dice che ho tradito la fiducia di chi me l'ha concessa offrendomi del lavoro. Non ho mai raccolto informazioni sulla signora, che non conosco personalmente. Come, ripeto, non conosco il dottor Tronchetti Provera. Diffondere queste menzogne mi danneggia in modo irreparabile. Peraltro, ce n'è un'altra in giro dannosissima".

Quale?
"Che io avrei subappaltato le investigazioni contro Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini. Non è vero. È un'assurdità. Per fortuna, degli autori di quella iniziativa io non ho neanche i biglietti da visita, né mi è mai capitato di incontrarli ad un congresso di security".

Rimaniamo su Afef. Che tipo di file ci sono sulla signora nel dvd?
"Nessuno. Solo brevi riepiloghi delle prestazioni da noi fornite per la sicurezza sua e del dottore. Era soprattutto un lavoro di tutela: la partecipazione a un congresso, una sfilata di moda. Nulla di più. Nessuna torbida informazione. Soltanto il resoconto del servizio svolto".

Torniamo al suo rapporto con Tavaroli e ai dossier preparati per suo ordine. Che tipo di informazioni le forniva Tavaroli sul "soggetto di interesse"?
"Nulla. A volte soltanto un fax o un biglietto da visita. E io partivo da lì per il mio lavoro. Al più, se si trattava di una società di cui si doveva valutare la solidità, le schede o le informazioni elaborate dalla direzione commerciale di Telecom o Pirelli".

Avrà pure ricevuto delle indicazioni su che cosa concentrarsi?
"No. Il più delle volte c'era il nome e una scritta sotto: "Tutto"".

Che significa "tutto"?
"Significa tutto. Tutto quel che è possibile sapere su una società o una persona. Un lavoro a 360 gradi, come diciamo noi".

Questo "tutto" prevedeva anche qualche manovra borderline?
"Sentite, se in questo momento mi trovo in questa situazione è perché il 20 per cento delle informazioni da me procurate erano riservate. Oggi non lo rifarei".

Cioè, il modo di acquisire quelle informazioni era illegale?
"Lo accerterà la magistratura".

Di che si trattava? Di accessi abusivi a banche dati?
"Di questo non posso parlare, fa parte dell'accertamento giudiziario".

Le chiediamo ancora: Tavaroli le ha mai offerto a sostegno della sua attività tabulati telefonici o, addirittura, intercettazioni?
"Mai".

Non vorrà dire, Tavaroli a parte, che in Italia sia così difficile procurarsi abusivamente tabulati telefonici?
"Non sto dicendo questo. Fino a quando ho lavorato io, il mercato dei tabulati telefonici era addirittura florido. Io dico che Tavaroli non me li ha mai forniti, né io li ho mai cercati. Anzi, ricordo un episodio: nel 2003, passeggiando nel centro di Milano, mi propose un'operazione per stroncare quel mercato. Mi chiese di fare da esca. Di chiedere in giro e comprare tabulati, per smascherare i dipendenti infedeli che ne facevano commercio. Il progetto era appoggiato anche da Adamo Bove, allora uomo della sicurezza Tim. Osservai che acquistare tabulati comportava dei rischi. Tavaroli mi rassicurò, dicendo che ne avrebbe parlato all'autorità giudiziaria prima di mettermi all'opera. Poi, della cosa non se ne fece nulla. Racconto questo episodio per dire che, non solo io non ho mai utilizzato tabulati o intercettazioni, ma che il mio committente, Tavaroli, era impegnato a stroncare quel traffico illegale".

Pare che la maggior sorpresa del suo archivio elettronico la riservino gli accertamenti patrimoniali all'estero. È così facile ficcare il naso nei conti esteri degli italiani?
"Ci sono società estere specializzate in intelligence patrimoniale. Questo lavoro, che si costruisce con gli anni, era svolto anche dai miei corrispondenti all'estero. Miei collaboratori insomma. Brava e ben pagata. Come per altro accadeva anche in Italia, dove potevo contare su analisti, consulenti, giornalisti...".

Giornalisti?
"Sì lavoravano per me due giornalisti specializzati in terrorismo e crimine organizzato che, ora, mi risulta abbiano collaborazioni con Telecom. L'ex vicedirettore di "Famiglia Cristiana" Guglielmo Sasinini e Francesco Silvestri, già direttore di "Narcomafie". Li pagavo con regolare fattura. Erano molto bravi ad analizzare gli scenari mondiali. Anche complessi".

Lei conosce Marco Mancini, numero due del Sismi?
"Marco l'ho conosciuto alla metà degli anni '80, quando lavorava con Giuliano all'Anticrimine dell'Arma dei carabinieri di Milano. Ho avuto con lui e con la sua bellissima famiglia, un rapporto molto intenso e profondo. Sono molto affezionato ai Mancini".

Il suo lavoro ha tratto vantaggio da questo rapporto di amicizia?
"Non dovete mescolare l'amicizia al lavoro. Marco ha una forte sensibilità istituzionale che sa tenere ben distinti l'amicizia da questioni di altro tipo. Mai ho approfittato del nostro rapporto né lui me l'avrebbe consentito".

Ammetterà che è difficile credere che voi tre - lei, Giuliano Tavaroli, Marco Mancini - tre ragazzi cresciuti insieme che fanno, per organizzazioni diverse, lo stesso mestiere al mercato delle informazioni non si danno una mano scambiandosi, di tanto in tanto, qualche notizia o dossier riservato.
"Mi rendo conto che è difficile crederlo. Ma è così".

Dicono che tra i suoi amici ci sia anche un altro ingombrante personaggio, Licio Gelli.
"È un'altra sciocchezza. Non conosco Licio Gelli, anche se mi è capitato di incontrarlo in circostanze non felici, come il funerale di sua figlia. La verità è che da oltre 15 anni sono amico di suo figlio Raffaello e della moglie Marta".

Lei è massone?
"No. Né frequento circoli. Da un anno e mezzo conduco vita ritirata e peraltro nessuno si affanna a venirmi a trovare".

In effetti, anche il suo amico Tavaroli oggi la definisce "avido" in un colloquio con il Sole-24 Ore.
"Avido io? Potrei dire che è lui troppo disinteressato all'aspetto economico. Voglio credere che ci sia stato un eccesso di sintesi. Di Giuliano penso e voglio pensare solo bene".

(2 giugno 2006)

LUVІ
04-06-2006, 14:51
Un up per questi bei spioni... :rolleyes:

LuVi

telespalla
04-06-2006, 16:41
Peter Gomez e Vittorio Malagutti per L’espresso

Il 2004 è un anno di grandi novità per la Rizzoli-Corriere della Sera. A giugno s'insedia il nuovo amministratore delegato Vittorio Colao, proveniente da Vodafone. A dicembre va in scena il cambio della guardia alla direzione del quotidiano di via Solferino: Stefano Folli lascia dopo soli 18 mesi e al suo posto arriva Paolo Mieli. È proprio in quelle settimane che parte un attacco informatico contro l'azienda editoriale. Alcuni computer di top manager e giornalisti finiscono nel mirino di un misterioso hacker.

Sembra un'incursione come tante. Uno di quegli assalti lanciati quasi per gioco da chi si diverte in Rete. A ogni buon conto, dopo una segnalazione, interviene la polizia postale e a Milano, in Procura, viene aperto un fascicolo. I primi accertamenti collegano l'assalto a un indirizzo di Roma. Basta qualche controllo per rendersi conto che i pirati del Web hanno utilizzato un ufficio della galassia Telecom Italia. Gli investigatori procedono con prudenza. E alla ricerca di notizie si rivolgono alla compagnia telefonica. Dopo qualche tempo arriva la risposta: quei locali sono stati svuotati e anche le apparecchiature informatiche non esistono più, smantellate. L'inchiesta finisce in archivio. Ma non viene dimenticata.

Il dossier è oggi sulle scrivanie dei pm milanesi che stanno indagando sulla rete di agenti segreti, spie vere o presunte, ambigui giornalisti, investigatori privati e dirigenti aziendali che da più di un decennio sembrano ruotare attorno alla figura di Giuliano Tavaroli, 46 anni, il top manager della sicurezza del gruppo Pirelli-Telecom dimissionario da fine maggio.

Da più di un anno Tavaroli è sotto inchiesta per associazione per delinquere finalizzata alla violazione del segreto d'ufficio assieme a Emanuele Cipriani, il fondatore della Polis d'Istinto di Firenze, una delle più importanti agenzie investigative italiane. Nei computer di Cipriani i magistrati hanno scoperto un gigantesco archivio contente file su politici, magistrati, big della finanza e persino calciatori e arbitri: chiunque, o quasi, abbia giocato un ruolo di rilievo nelle cronache recenti del Paese.

Per capire come sia potuta finire nelle mani di Cipriani una simile massa di dati, compresi tabulati telefonici, informazioni bancarie italiane ed estere e, in qualche caso, persino trascrizioni d'intercettazioni disposte dalla magistratura, i pm battono due strade. Da una parte guardano a Telecom, al tipo d'incarichi assegnati alla Polis d'Istinto e al flusso di denaro (almeno 14 milioni di euro regolarmente fatturati e accantonati in Lussemburgo) che dalla multinazionale milanese portano all'agenzia d'investigazioni. Dall'altra le verifiche si concentrano sui rapporti tra l'attivissimo investigatore privato fiorentino, Tavaroli e Marco Mancini, un super 007 dal luglio 2003 responsabile della prima sezione del Sismi, quella che si occupa di anti-terrorismo e controspionaggio.

"Marco è una figura magnifica, molto più che un amico, ma con il mio lavoro non c'entra", ha protestato Tavaroli in una intervista pubblicata il 30 maggio dal 'Sole 24 Ore'. Fatto sta che, proprio nelle stesse ore in cui il manager della sicurezza lasciava il gruppo Pirelli, anche Mancini ha scelto di farsi da parte prendendo un periodo di ferie. Sulla sua decisione, maturata nel corso di una drammatica riunione negli uffici dell'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, hanno pesato le notizie provenienti dalla Procura di Milano.

E non solo quelle sull'inchiesta che vede coinvolto il duo Tavaroli-Cipriani, ma anche le novità riguardanti l'indagine sul sequestro di Abu Omar, l'imam rapito a Milano il 17 febbraio del 2003 da un commando di agenti Cia e poi torturato in Egitto. A quel blitz hanno certamente partecipato anche degli italiani. Uno di loro, un maresciallo dei Ros dei Carabinieri, ha già confessato. Gli altri restano per il momento senza volto. Nei giorni del sequestro, Mancini ricopriva gli incarichi di "direttore del raggruppamento Centro-nord" del Servizio segreto militare e di "direttore reggente dei centri di Milano e Bologna". Adesso i magistrati si chiedono che cosa sapesse dell'operazione Abu Omar.

Man mano che le indagini si addentrano in questa palude maleodorante popolata da 007 dall'intercettazione facile, maghi dell'informatica e funzionari dello Stato con solidi legami a Washington, diventa sempre più difficile arginare l'onda lunga dello scandalo. E alla fine l'intricata trama spionistico-giudiziaria ha finito per scuotere anche le mura di Telecom. Venerdì 26 maggio il presidente Marco Tronchetti Provera ha sentito il bisogno di rassicurare gli 85 mila dipendenti del gruppo con una lettera aperta in cui si ribadiva la "trasparenza, l'integrità e l'eccellenza professionale" su cui si basa l'attività di Telecom. Assicurando, tra l'altro, che "chi in malafede ha commesso scorrettezze e abusi è sempre stato allontanato".

Da mesi, del resto, si era già messa in moto la macchina delle verifiche interne. Nel mirino, innanzitutto, ci sono le procedure e le apparecchiature utilizzate per le intercettazioni e la raccolta dei tabulati telefonici disposte dalla magistratura. Secondo quanto risulta a 'L'espresso', le sorprese non sono davvero mancate. In sostanza, i tecnici si sono resi conto che il sistema presenta delle falle. La rete dei controlli informatici che dovrebbe difendere queste delicate attività aziendali da interventi non autorizzati, da tempo era di fatto sottoutilizzata. Non basta. Gli accertamenti hanno anche stabilito che, almeno in via teorica, si sarebbe potuto intervenire direttamente sulle centraline per spiare le telefonate degli italiani senza lasciare tracce. In questo modo era quindi possibile evitare il ricorso alle apparecchiature ad hoc (denominate in gergo traslatori) che servono per portare le conversazioni intercettate sino alle sale ascolto delle procure, come si fa normalmente nelle indagini disposte dalla magistratura.

Un altro aspetto molto delicato preso in esame riguarda la gestione dei tabulati telefonici e degli altri dati di traffico. Queste informazioni sensibili vengono gestite, sulla base di procedure precise, da alcuni uffici all'interno di Telecom: il Cnag ( Centro nazionale autorità giudiziaria), lo Stag (Servizio tecnico autorità giudiziaria), ma anche dagli operatori addetti, in caso di contestazioni, alla verifica dell'effettiva corrispondenza tra il contenuto delle bollette e le chiamate effettuate. In tutti questi casi il sistema è protetto da badge e password che permettono di risalire immediatamente a chi ha utilizzato i terminali per richiedere informazioni. Nonostante queste precauzioni, esiste in Italia un vero e proprio mercato dei tabulati telefonici.

Lo ha verificato la Procura di Milano quando in marzo, indagando proprio sulla Polis d'Istinto, si è imbattuta, arrestandoli, in un gruppo di detective privati assoldati, secondo l'ipotesi dell'accusa, dall'ex ministro della Sanità, Francesco Storace, per tentare d'incastrare due avversari politici come il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo e la candidata di Alternativa Sociale, Alessandra Mussolini. Questi dati generalmente escono dagli uffici di Telecom (e degli altri gestori telefonici) seguendo due strade: la corruzione dei semplici operatori o quella di funzionari delle forze dell'ordine che inviano alle compagnie false richieste di produzione di tabulati, mischiandole a quelle autentiche autorizzate dalla magistratura.

Secondo il quotidiano 'Libero' di sabato 27 maggio, le verifiche interne avrebbero però aperto anche un terzo fronte. La stessa Telecom "avrebbe rilevato" tra le proprie apparecchiature e i propri programmi informatici "la presenza di altri sistemi 'mai dichiarati' in precedenza". Di che cosa si tratta? La multinazionale di Tronchetti Provera, interpellata da 'L'espresso', ha negato la circostanza, assicurando di non aver mai inviato alcuna lettera al Garante della privacy per segnalare il problema, come invece sostenuto dal giornale diretto da Vittorio Feltri.

Non di tutto quello che accade in Telecom (e nelle altre compagnie) si può del resto parlare. Almeno dal 2001, secondo quanto risulta a 'L'espresso', nei nostri servizi segreti è partita la corsa all'acquisto di nuove macchine per le intercettazioni telefoniche. Il problema è che fino al luglio del 2005, quando il Parlamento ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza antiterrorismo, agli 007 italiani era formalmente vietato spiare le telecomunicazioni. Un evidente non senso perché senza intercettare è impossibile tentare di prevenire attacchi e attentati. Per anni si è così andati avanti ricorrendo a una sorta di compromesso all'italiana. Nel caso che le barbe finte fossero state scoperte, il governo era pronto a intervenire ricorrendo al segreto di Stato. Ma questo avveniva al di fuori di qualsiasi controllo.

Dalla scorsa estate invece i direttori di Sismi e Sisde possono chiedere direttamente al Procuratore generale presso la Cassazione di autorizzare le cosiddette intercettazioni preventive. Cioè gli ascolti che non possono entrare nei processi e che non hanno valore di prova. Da quel giorno gli investimenti economici delle barbe finte in sofisticate apparecchiature elettroniche sono ulteriormente aumentati. Un segno evidente che di intercettazioni gli 007 ne fanno ormai moltissime. Come vengono pagate le compagnie telefoniche che gioco forza devono mettere a disposizione le proprie linee? Esistono dei protocolli d'intesa tra Telecom, Wind, Vodafone e i servizi? E se esistono, chi li ha firmati? Tutti interrogativi destinati a restare senza risposta sui quali, nella confusione delle norme, si allunga l'ombra del segreto di Stato.

Un solo dato è certo. In Telecom l'allontanamento di Tavaroli dai vertici aziendali ha provocato un terremoto tra gli uomini della sicurezza. Dopo trasferimenti, cambi di mansione, creazione di nuove strutture, ben pochi sono rimasti al proprio posto. Tanto per cominciare la security non è più una funzione autonoma ma è passata sotto la direzione risorse umane affidata a Gustavo Bracco. Il coordinamento delle attività di sicurezza risulta invece nelle mani di Adamo Bove, un ex poliziotto con un fratello gemello (Guglielmo) all'ufficio legale del gruppo. A fianco di Bove, lavora Giovanni Penna, responsabile delle cosiddette operations, che in pratica corrisponde all'attività di tutela fisica delle centrali e delle sedi di Telecom.

Anche il Cnag, cioè il settore più delicato per le intercettazioni e i rapporti con la magistratura, ha cambiato indirizzo. L'ufficio diretto da Andrea Galletta non dipende più dalla sicurezza, ma è passato sotto la supervisione dell'ufficio legale, com'era fino a tre anni fa. Prima dell'arrivo di Tavaroli al comando dei security manager del gruppo telefonico.

telespalla
05-06-2006, 11:05
Oscar Giannino per Libero

Caro direttore,
ho una domandina semplice semplice, per te e tutti i lettori di Libero. Viviamo in un Paese in cui d’intercettazioni telefoniche si muore, visto che con i colloqui privati via cellulare allungati ai giornali si sono smantellate scalate bancarie e alla Rcs, mandando agli arresti in men che non si dica – dove ancora restano – Ricucci e Fiorani. E visto che ogni giorno i lettori trovano pagine intere sul sistema-Moggi. Bene. Anzi male, per chi come noi è garantista.


Ma fatta questa premessa, com’è che invece della madre di tutti gli scandali, in materia d’intercettazioni illecite, a parlarne è solo Repubblica, mentre la maggior parte di tutti gli altri giornali ignorano la cosa? Nei vecchi romanzi d’avventura, la si definirebbe la domanda delle cento pistole. Qui da noi, caro direttore, è la domanda dei trenta miliardi. Di euro. Perché stiamo parlando di uno scandalo che investe in pieno la Telecom di Marco Tronchetti Provera, l’ex monopolista pubblico della telefonia, che appunto in Borsa vale 30 miliardi di euro, e che al contempo in salute non se la passa poi tanto bene, visto che di debiti ne ha per una cinquantina di miliardi. Sempre di euro.

Ecco perché allora tutti diventano improvvisamente garantisti e scrupolosi, tanto per sottolineare meglio come l’Italia continui a essere un Paese dall’insopportabile legge “doppiopesista”: finché stai in sella e sei nel circuito dorato dei salotti buoni puoi far tutto, se i potenti degli intrecci banco-industriali cari all’Ulivo ti mollano o se attenti alla loro cadrega, ecco che si scatenano le mute di cani.

Questa volta, però, sembrerebbe di essere in presenza della classica eccezione che conferma la regola. Visto che è la Repubblica di Carlo De Benedetti, ad addentare quasi in solitudine i calcagni della Telecom. Tentiamo allora di capire meglio. Sia di che cosa siamo in presenza. Sia la ragione dei quasi solitari attacchi.


La vicenda, in sé, è paurosa. L’ex capo della sicurezza della Pirelli prima, e della Telecom di Tronchetti Provera poi, Giulio Tavaroli, uomo personale di fiducia del prestigioso manager a detta di tutti, mette in piedi negli anni una struttura efficientissima di spionaggio privato. E’ un ex ufficiale delle forze dell’ordine che ha lavorato all’Anticrimine di Milano, ma poi ha appeso la divisa al chiodo e per 15 anni è diventato l’insostituibile uomo-sicurezza di Tronchetti.

Gran parte del lavoro, l’accumulo di informazione sulle consistenze patrimoniali e bancarie, sulle reti di conoscenza e frequentazione dei soggetti “vigilati” come delle relative consorti, familiari e amanti, era girato a uno stretto amico del Tavaroli, Emanuele Cipriani, capo di un istituto privato, la “Polis d’Istinto”, che da Telecom sui conti di società estere ha ricevuto compensi per svariati milioni di euro. A integrare i dossier personali – decine di migliaia, secondo un dvd sequestrato presso l’istituto – ci pensava poi la Telecom stessa, con i tabulati delle telefonate sul fisso e sul mobile dei soggetti spiati. Migliaia di manager, politici, banchieri, arbitri, dirigenti di società sportive, starlette, giù giù per l’intera gerarchia del potere italiano, dalle corbeilles di Borsa fino alla tv e al football.

Ora in Italia abbiamo avuto i grandi scandali dei cosiddetti servizi deviati e della P2, annidati all’ombra dello Stato. Ma che il maggior gruppo privato di telefonia si metta in proprio sostituendosi allo Stato, alle forze dell’ordine, ai magistrati e ai servizi segreti, beh è un’ipotesi da incubo. Roba che la politica avrebbe dovuto insorgere fin dal primo giorno in uno scroscio di fulmini e saette, di fronte al Grande Fratello orwelliano. E la sinistra, sempre pronta a denunciare i complotti più inverosimili, avrebbe dovuto dar fuoco alle polveri. Invece, nulla.

Uno dei frammenti delle migliaia di intercettazioni illecite viene fatto tempestivamente brillare sui giornali un mese prima delle elezioni regionali laziali, e schizza lapilli di lava su Storace e i suoi collaboratori, presentandoli come se fossero stati loro a intercettare illecitamente l’avversario Piero Marrazzo e Giovanna Melandri. Alla sinistra la cosa sta bene, e tutti giù a processare Storace, fingendo di ignorare che l’allungo tempestivo ai giornali serviva a coprire di fumo lo scandalo gigantesco vero, quello di Tavaroli e Cipriani.

Quanto alla magistratura, a Milano i pm sono quasi tre anni che si confrontano con il problema, dacché una vicenda marginale al sistema Moggi li fa incappare la prima volta in una Telecom alla quale l’Inter privatamente commissiona un’indagine sui colloqui telefonici di alcune giacchette nere. Ma, questa volta, i pm hanno piedi di piombo. Nessun arresto in fretta e furia, nessun avviso di garanzia a Tronchetti. Tavaroli e Cipriani sono indagati per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l’acquisizione di informazioni coperte da privacy. Il minimo, vista la gravità e la sistematicità dei reati documentati in quel dvd.

Ma il pm competente, Fabio Napoleone, fa quasi tenerezza. E’ uno tostissimo: ma il solo fatto di esser costretto a toccare Telecom lo espone a pressioni inimmaginabili. Perché non pensare che Tavaroli e Cipriani non facessero tutto in proprio? Perché non immaginare che Tronchetti Provera per primo sia una vittima, raggirato e abusato nella fiducia che riponeva in Tavaroli? Per come funziona un’impresa quale Telecom, l’ipotesi è da morire dalle risate.


Tavaroli non era un intraprendente funzionarietto periferico, per anni ha diretto proprio il CNAG, la struttura Telecom che ufficialmente era interfaccia delle Procure per le intercettazioni legalmente da queste disposte. E ai primi sentori di casino, l’azienda lo ha mandato in un incarico di copertura in Romania, fuori dall’Unione europea. Quando l’anno scorso da un fascicolo giudiziario uscì fuori che intercettazioni illecite su utenze intestate a Rcs – ai tempi della scalata al Corriere – venivano da macchinari Telecom, la polizia postale incaricata degli accertamenti trovò che gli uffici in questione erano stati appena provvidenzialmente smantellati.

Una molteplicità di indizi rende incredibile l’ipotesi che per puro amor di garantismo va comunque avanzata, e cioè che del Tavaroli i vertici Telecom fossero all’oscuro. Per dirne una, la Telecom si era trovata ad affrontare intelligence privata “ostile” portatale da concorrenti nella controllata in Brasile, e Tronchetti proprio per questo aveva potenziato la funzione.

Quanto poi alla più generale cultura d’impresa praticata dall’ex monopolista, fa fede la recente sentenza con cui la Corte d’Apello Civile di Milano ha condannato Telecom per trattamento illecito di dati riservati: per indurre a ripensarci gli utenti che avevano cambiato gestore, la Telecom passava al proprio servizio commerciale i dati privati degli ex clienti accumulati nel proprio database storico delle rispettive telefonate, giro d’affari e utilizzo dei servizi, in modo da consentire di mettere a punto offerte più vantaggiose di quelle siglate con la concorrenza.

E’ tutt’altro illecito, rispetto alla rete d’intercettazioni illecita su vasta scala di cui qui parliamo: ma testimonia che alla Telecom l’uso disinvolto dei dati riservati rientrava nella prassi aziendale ordinaria. Roba che giustamente Fastweb e Vodafone sono insorte: ancora una volta nel disinteresse della stampa. Perché si sa, Telecom è il primo inserzionista pubblicitario italiano.


Descritta la regola, parliamo dell’eccezione. Come si spiega, che Repubblica rompa il generale silenzio pro Telecom? Le spiegazioni possibili sono almeno due, anch’esse una più interessante dell’altra. Chi parla con il direttore Ezio Mauro, sa che egli esclude che l’assalto sia frutto di interessate sollecitazioni da parte dell’editore, De Benedetti. E’ pura farina dei due noti pistaroli d’assalto, Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini, dice il direttore.

Personalmente non ho motivi per non credere alla buona fede di Mauro. Tranne una riserva, però. Se la campagna è solo frutto della caparbietà dei due meritori cronisti, allora va ricordata una cosetta. Da due anni a questa parte Bonini-D’Avanzo hanno messo nel mirino il Sismi di quel galantuomo di Niccolò Pollari. E poiché con l’accusa al Sismi di aver passato a Bush la bufala dell’uranio comprato in Niger da Saddam Hussein hanno preso un gigantesco buco nell’acqua, è bene sapere che l’insistenza sul caso Telecom potrebbe mascherare la solita ossessione: tornare a dire che la colpa non è degli uomini Telecom, ma del Sismi stesso per via del rapporto che legava Tavaroli e Cipriani a Marco Mancini, uno dei responsabili del controspionaggio italiano nella gestione Pollari.

C’è poi la seconda spiegazione. Quella di una vera guerra nel capitalismo italiano, non solo a colpi di dossier. Non c’è bisogno affatto di immaginare che De Benedetti telefoni lui a Bonini e D’Avanzo per indicargli Tronchetti come bersaglio. Ma Tronchetti è un tale peso massimo che la campagna non può avvenire senza che l’editore sia d’accordo.
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Ricordiamoci bene da dove siamo partiti: la domanda da 30 miliardi di euro. A giorni in Telecom devono sciogliere un problemino non dappoco, liquidare a metà della catena societaria, in Olimpia, gli ex soci bresciani di Hopa finiti sotto il maglio delle Procure per le scalate bancarie. Tronchetti dovrà sborsare altre centinaia di milioni per rilevare le loro quote. Ma il mercato lo sa da quel dì, che coi debiti attuali il pur pingue cash flow di Telecom non basta a ridare salute al colosso negli anni a venire. Per questo il titolo resta sconsolatamente sotto del 44% al valore che Tronchetti corrispose ai bresciani, 5 anni fa.

Per questo tutti continuano ad aspettarsi che presto o tardi Tronchetti dovrà rassegnarsi, e aprire le porte a un “salvifico” accordo con un’altra Telecom straniera, magari quella spagnola come avviene coi Benetton in Autostrade. E’ figlio anche di questa disperazione, l’utilizzo in violazione della legge dei database riservati per impedire ai concorrenti di strappare clienti a Telecom.
E volete che in tutto questo a De Benedetti – scippato dei telefoni anni fa anch’egli per rimediare ai propri debiti - non possa far piacere un po’ di pressione su Tronchetti? Non certo per comprarsi lui la Telecom, un boccone ormai troppo grosso per la Cir. Ma almeno per farsi cedere l’anno prossimo la7, la rete tv di Telecom che al fianco della ex reteA attualmente di De Benedetti, darebbe alla presenza televisiva dell’ex patron dell’Olivetti una massa d’urto che oggi le manca. Con tutto il rispetto per Mauro e i suoi giornalisti, non ci sentiamo proprio di dire che questa ipotesi è campata in aria.

Resta tutto lo scandalo della più grave lesione del diritto alla privacy mai avvenuta nella storia italiana. Senza che nessun garante della Privacy di ieri e di oggi si stracci le vesti. E nel silenzio generale di questa Italia dove se sei amico dei pm e dell’Ulivo, puoi fare cose che agli altri costano disonore e galera.