View Full Version : Banda della Magliana, film e polemica sinistra-destra
Martedì 27 Settembre 2005
E’ già polemica per il film “Romanzo criminale” sulla Banda della Magliana
Destra e sinistra divise tra buonismo e attacco allo Stato
Il branco e l’Italia dei misteri
di LEONARDO JATTARELLI
ROMA - Ma chi sono queste facce dai nomi improbabili, Il Freddo, Il Libanese, Dandi, Il Nero, Er Sorcio, Bufalo che resuscitano le “maschere” di quel cinema di genere ormai tramontato a casa nostra? E perché uscendo dalla visione di Romanzo criminale di Michele Placido ogni immagine che torna alla mente è fissata fotograficamente nella memoria in un netto bianco e nero, quasi che anche la pellicola voglia impressionare fin da subito Buoni e Cattivi, Negativo e Positivo? Troppo accondiscendente con i sanguinari della truculenta Banda della Magliana e altrettanto eccessivamente spietato nei confronti dello Stato e dei suoi poteri occulti, dei servizi segreti e dell’antiterrorismo? L’attesisssimo film dall’omomino libro di Giancarlo De Cataldo in uscita venerdì prossimo (prodotto da Cattleya in collaborazione con la Warner che lo distribuisce) suscita interrogativi importanti, apre un interessante dibattito trasversale e già scatena polemiche non solo sugli anni bui della storia italiana. Invita a riflettere anche, cinematograficamente, sulla possibilità che esista ancora chi, autore e fruitore, voglia impegnarsi a raccontare e ad appassionarsi al benedetto/maledetto cinema civile.
Allora chi ha ragione? La stampa di destra che ieri ha chiesto se “forse” il film non risulti troppo buonista strizzando l’occhio alla gang assassina o quella di sinistra che si è inalberata perchè l’ambiguo agente segreto (interpretato da Gianmarco Tognazzi) che “copre” le azioni di Dandi viene presentato nel film come un ex appartenente al movimento studentesco? «Dico solo che la geniale idea del film - spiega Riccardo Tozzi - è quella di raccontare l’Italia dal punto di vista criminale, sfuggendo finalmente alla trappola della pellicola didascalica o giudicante. Qui cade ogni velo ideologico». E a chi insinua che quella battuta sul movimento studentesco possa averla suggerita lui, risponde: «Sarebbe un’accusa insultante se solo la prendessi sul serio». Il regista, da parte sua spinge sul freno: «I protagonisti sono veri mascalzoni e credo che siamo stati molto attenti a non farne degli eroi».
Placido va dritto al bersaglio: «Durante la lavorazione ho insistito perchè venisse esaltato il “sottotesto” del film, quell’Italia delle stragi e degli stragisti, della bomba alla stazione di Bologna e del brigatismo omicida del sequestro Moro. Agli occhi di Freddo, il personaggio più lucido del gruppo, tutto questo risulta tragico e scandaloso. Anche io mi sono commosso, ho pianto sul set: mi sono ricordato dei miei maestri, Rosi, Damiani, Petri e ho pensato “esistono tanti scheletri negli armadi che chiedono solo la parola”».
L’amicizia, come in ogni branco che si rispetti, è il vero collante della storia: i teppistelli di borgata ascoltano i pezzi del Califfo e La bambola di Patty Pravo, ballano sui dischi dei Queen e su Lady Marmalade di Patty Labelle (ottimo il lavoro sulle musiche per Romanzo criminale ) si “gonfiano” di denaro e potere trasformandosi in vera e propria gang del crimine organizzato. La nota romantica che fa da fil rouge è sottolineata da tutti i componenti il cast. Kim Rossi Stuart-Il Freddo: «Per me sono una banda di disgraziati che invece di lavorare preferiscono rubare. Non ho pensato al mio personaggio come ad un eroe negativo. E’ un criminale, non ci sono dubbi, ma l’ho amato lavorandoci». Claudio Santamaria-Dandi: «E’ bello che il film mostri anche il lato non criminale di questi assassini, la gente ci si identifica in qualche modo». Pierfrancesco Favino-Il Libanese: «Buoni e cattivi? Il film mischia le carte mentre nel romanzo c’è una forte componente romantica che lo rende epico». Stefano Accorsi-Scialoja: «Mi interessava non perchè era un buono che diventa cattivo ma perchè è uno molto ambizioso; non è un ladro ma invidia i ladri».
Il resto è ancora storia. Quella che Placido vorrebbe raccontare «in un prossimo film su Mani Pulite e sul personaggio Bettino Craxi. Io sono una persona seria e onesta - si accalora il regista-. Credo che il cinema civile sia importante anche se il mio Un eroe borghese fu stroncato dai critici perchè firmato Placido, così come era accaduto per Mary per sempre . Sono pronto anche a prendermi i fischi della Mostra di Venezia. Se volete distruggere il cinema italiano, fate pure».
(Il Messaggero.it)
a me alcuni lavori di Placido piacciono.
Sono asciutti, aspri e toccano temi che non e' male ricordare.
Non e' Kubrick, non e' Fellini, ma il suo mestiere lo fa bene.
“Magliana”: l’ora delle polemiche
Mercoledì 12 Ottobre 2005
Il magistrato: «L’unico arresto che dovevano fare sfumò».
Intanto Abbatino querela la Warner Bros
Il giudice Lupacchini: «Non volevo che sulla banda indagassero romani»
di RITA DI GIOVACCHINO
Misteri, rancori, sospetti. Sono passati trent’anni, ma le tragiche gesta della banda della Magliana non cessano di tornare in primo piano. Anzi, recenti rivelazioni hanno riacceso l’interesse attorno alla gang, ormai oggetto di libri, film di successo, pièces teatrali e dibattiti televisivi. Inevitabile lo strascico di polemiche. Prendiamo ad esempio il giudice Otello Lupacchini, che alla banda della Magliana ha dedicato due ponderose opere: le 600 pagine dell’Operazione Colosseo, opera omnia su vita e opera di un centinaio di malavitosi romani, e un bel libro inchiesta (Banda della Magliana, ed. Koiné) che ha precorso il successo di Romanzo Criminale , scritto da un altro giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo.
Lupacchini ha archiviato le indagini, ma non gli antichi sospetti. E in un’intervista al settimanale Gente , in edicola oggi, dice: «Quando iniziai ad indagare sulla Banda della Magliana chiesi ed ottenni dal capo della Polizia, Vincenzo Parisi, che mi fosse assegnata una squadra di investigatori, nessuno romano». Insomma Lupacchini pretese che «l'apporto della questura capitolina fosse solo strumentale, si limitasse cioè all'esecuzione dei mandati di cattura e alla custodia di Maurizio Abbatino». Perché mai? «Da ciò che si leggeva negli atti non ritenevo opportuno che ad indagare fossero i romani. Sarà stato un caso, ma uno dei pochi arresti che fallirono fu quello di Raffaele Pernasetti, affidato all'allora capo della Criminalpol del Lazio». Chi era mai quest’anonimo funzionario?
Nientemeno che Nicola Cavaliere, ex questore di Roma, e ora capo della Criminalpol, poliziotto di ferro sotto il guanto di velluto e l’affabile sorriso. Al telefono rifiuta di commentare. Ma gli amici dicono che c’è rimasto male, uno stato d’animo tra stupore e indignazione. Dicono: ma se li ha arrestati tutti lui! Anche Pippo Calò, l’imprendibile, il banchiere di Cosa nostra. Arrestato al culmine di un’operazione da manuale, dicono. Ma non è solo Lupacchini a masticare amaro. Nello stesso servizio su Gente , esterna anche Ferdinando Imposimato, primo magistrato che si occupò della Banda della Magliana. Lui ce l’ha con De Cataldo. «Sono profondamente amareggiato- esordisce- la banda della Magliana e la mafia volevano fermare la mia inchiesta, tentarono di uccidermi, non ci riuscirono ma raggiunsero lo scopo uccidendo mio fratello. Tutto questo nel film non c'è». Poi aggiunge sibillino: «Il vero capo della Banda era Ernesto Diotallevi che, a quanto ne so, fu assolto con una sentenza emessa proprio dal dottor Giancarlo De Cataldo autore del libro che adesso va tanto di moda e che ha ispirato il film».
Dichiarazioni cui in genere seguono querele. Ma De Cataldo reagisce con eleganza: «Imposimato amareggiato? Non capisco perché: ho scritto un romanzo, che si ispirava liberamente a vicende note, non un libro d’inchiesta. Forse le polemiche sono un prezzo inevitabile». Ma davvero ha assolto Diotallevi? «Sono passati venti anni, ricordo di essermene occupato un paio di volte. La prima non c’erano prove, furono tutti assolti. Nella seconda indagine era evidente il legame tra Diotallevi e la mafia siciliana, la Procura non riuscì a dimostrare che fosse un membro della banda. A giudicarlo sono sempre stati collegi, ma soltanto in due occasioni ne ho fatto parte. Su Diotallevi c’erano altri procedimenti, di cui non so nulla».
Non è finita. Protesta anche Maurizio Abbatino, il boss pentito. Lui, nel film di Michele Placido, si è riconosciuto nel personaggio denominato il Freddo , e si è rivolto a un avvocato di La Spezia, Enrico Vigorito, per bloccare Romanzo Criminale. Per ora si è limitato alla richiesta di messa in mora nei confronti della Warner Bros. «Sono stato diffamato- sostiene l’ex boss della Magliana- voglio essere risarcito altrimenti blocco il film». Risarcito de che? Abbatino lamenta che gli siano stati attribuiti fatti come la strage di Bologna e il rapimento Moro di cui si dice estraneo.
L’unico a non poter protestare è Enrico De Pedis, alias Renatino , assassinato nel 1987 tra le bancarelle di Campo de’ Fiori. Riposerà in eterno nella cappella di Sant’Apollinare, tra vescovi e santi. Per questo è uno dei personaggi attualmente più rivisitati. E’ vero che tra i segreti che De Pedis si è portato nella tomba di Sant’Apollinare c’è anche la sorte di Emanuela Orlandi? La ragazza scomparve il 7 maggio 1983, all’uscita dalla scuola di musica pontificia ”Ludovico Da Victoria”, che ha sede proprio davanti alla Basilica. E, secondo una fonte dei servizi, salì su una Bmw verde, di cui aveva disponibilità Patrizia, ovvero la ragazza di vita che in Romanzo Criminale è sia l’amante di De Pedis che di un poliziotto romano. Uno dei tanti di cui Lupacchini non si fidava.
(Il Messaggero)
Ziosilvio
13-10-2005, 08:31
La cosa veramente squallida è che:
Protesta anche Maurizio Abbatino, il boss pentito. Lui, nel film di Michele Placido, si è riconosciuto nel personaggio denominato il Freddo , e si è rivolto a un avvocato di La Spezia, Enrico Vigorito, per bloccare Romanzo Criminale. Per ora si è limitato alla richiesta di messa in mora nei confronti della Warner Bros. «Sono stato diffamato- sostiene l’ex boss della Magliana- voglio essere risarcito altrimenti blocco il film».
Come può parlare di diffamazione una persona che si è creata da sola una fama completamente negativa?
E come può un uomo di legge perorare una causa simile?
Topomoto
13-10-2005, 09:23
La cosa veramente squallida è che:
Come può parlare di diffamazione una persona che si è creata da sola una fama completamente negativa?
E come può un uomo di legge perorare una causa simile?
Mah, ormai siamo al paradosso.....un boss pentito che si preoccupa della propria immagine :sofico:
ALBIZZIE
13-10-2005, 09:38
la scorsa settimana c'è stata un'interessante (e deprimente) puntata a 'ottoemezzo' che parlava del film con placido e altri come ospiti.
interessante anche come è riemersa la faccenda della sepoltura di depetri in una trasmissione rai. io, al riguardo aprii un topic un paio di anni fa.
Sorpresa!
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Sabato 15 Ottobre 2005
Fascicolo dimenticato, liberi i figli di Nicoletti
Il presidente del Tribunale Scotti apre un’indagine sui dipendenti della Cancelleria
di VALENTINA ERRANTE
Il fascicolo è rimasto fermo in cancelleria per un anno intero. Dal giorno della sentenza di primo grado. E così, per una “dimenticanza”, Antonio e Massimo Nicoletti sono tornati in libertà. Decorrenza dei termini.
I figli di Enrico, ritenuto il cassiere della banda della Magliana, erano stati condannati dai giudici della seconda sezione del tribunale di Roma il 12 ottobre del 2004. Pene pesanti: rispettivamente otto anni e cinque anni e quattro mesi di reclusione. L’accusa estorsione ai danni di un commerciante della capitale, costretto a pagare centomila euro e “invitato” a versare altro denaro. Era stato proprio la vittima, un imprenditore dell’abbigliamento, a rivolgersi ai carabinieri. Dei duecentomila euro “promessi” aveva pagato soltanto la metà. Poi, temendo ritorsioni, aveva chiesto aiuto ai militari. Ma da due giorni le misure legate a quella condanna sono scadute.
Antonio Nicoletti, 42 anni, è comunque agli arresti domiciliari per un altro procedimento avviato dalla procura di Roma. Massimo, invece, un un anno più giovane, da due giorni è libero di circolare. Ha le carte in regola, soltanto una condanna in primo grado, nessuna restrizione. Adesso bisognerà chiarire chi abbia dimenticato quel fascicolo, costituito da una montagna di faldoni. Perché, per un intero anno, gli atti non siano stati consegnati dal personale di cancelleria della seconda sezione alla Corte d’appello per la fissazione del processo di secondo grado. I termini di custodia cautelare sarebbero ripartiti. Non è da escludere che le date siano state riportate in maniera errata. Magari proprio dagli addetti allo scadenzario. Un’ipotesi ottimista.
La vicenda comunque è oggetto di accertamenti. Il presidente del tribunale Luigi Scotti ha aperto un procedimento disciplinare e un’indagine interna. Bisognerà chiarire se sia stata soltanto una negligenza. O se dietro quella dimenticanza non ci sia dolo. «Dimenticanze di questo tipo sono inammissibili, specialmente quando gli imputati hanno un livello di pericolosità sociale elevato», commenta Scotti.
Durante il processo, proprio per evitare che si allungassero i tempi del dibattimento e potessero scadere i termini della custodia cautelare, uno dei giudici era stato richiamato dal viaggio di nozze. E così il tribunale era riuscito a rispettare le date.
Lunedì la vicenda che ha portato alla scarcerazione dei fratelli Nicoletti sarà affrontata anche in Procura, dove la notizia ha suscitato irritazione e allarme. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il sostituto Lucia Lotti, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia che hanno condotto l'istruttoria nel 2003 ottenendo l'arresto dei Nicoletti e di altre tre persone, valuteranno con il procuratore Giovanni Ferrara quali iniziative adottare.
(Il Messaggero)
Martedì 18 Ottobre 2005
Per l’ex cassiere della “Magliana” non erano scaduti i termini di custodia. Nel caso di Antonio e Massimo ci sono ipotesi di negligenza
La “dinasty” Nicoletti scuote il tribunale
Delle scarcerazioni di papà Enrico e dei figli se ne potrebbe occupare presto il Csm
di VALENTINA ERRANTE
Adesso l’“affaire dei Nicoletti” potrebbe finire al Csm. Il singolare intreccio di coincidenze che ha portato per vie diverse alla scarcerazione di Enrico Nicoletti, considerato il cassiere della banda della Magliana, e dei suoi due figli, condannati a otto anni e 5 anni e quattro mesi, è ancora tutto da chiarire.
All’attenzione del Consiglio superiore della magistratura potrebbe finire il provvedimento firmato dal presidente della seconda sezione del Tribunale della capitale Giancarlo Millo. Un’ordinanza che ha rimesso in libertà Nicoletti senior prima della scadenza della custodia cautelare. Millo ha revocato la misura ritenendo che i termini fossero destinati comunque a scadere prima della conclusione naturale del dibattimento e, per quello che ha definito «un atto dovuto», non ha neppure chiesto alla procura il parere previsto dalla legge e non vincolante. E così Nicoletti, imputato per associazione per delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione, agli arresti domiciliari, da giovedì ha soltanto l’obbligo di firma. La decisione del presidente Millo fa discutere. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni e il pm Lucia Lotti hanno presentato un ricorso al tribunale del Riesame, mentre il presidente del Tribunale Luigi Scotti non usa mezzi termini: «Da cittadino e da magistrato - dice Scotti - confesso di essere rimasto sorpreso. E’ un provvedimento che mi ha allarmato, anche per le interpretazioni che questa vicenda può generare all’esterno. Sono perplesso e meravigliato». E aggiunge: «Io quel parere lo avrei acquisito».
Non è escluso però che al Csm finisca anche la vicenda di Antonio e Massimo Nicoletti, scarcerati giovedì, a un anno dalla condanna di primo grado, per una dimenticanza della cancelleria della seconda sezione. Oggi tutti i funzionari delle cancellerie sono stati convocati dal presidente Scotti che ha già avviato un procedimento disciplinare. I responsabili degli uffici faranno il punto su altre situazioni analoghe. Ma sulla scarcerazione dei Nicoletti junior peserebbe anche un’altra leggerezza del presidente della seconda sezione che ha chiuso con pesanti condanne il processo a carico di Antonio e Massimo Nicoletti, Raffaele Condemi. Nel 2003, in seguito a una visita degli ispettori del ministro di Giustizia Roberto Castelli, proprio Scotti aveva inviato a tutti i presidenti delle sezioni del tribunale una circolare: «Per evitare improprie responsabilità - scriveva il Scotti - prego segnalare sui fascicoli situazioni di imputati detenuti con prossime scadenze dei termini, in modo che la cancelleria ne abbia contezza e possa e procedere all’immediato invio del fascicolo». Una sollecitazione che nel caso del processo di Antonio e Massimo Nicoletti, come in tante altri, non sarebbe stata raccolta e che adesso potrebbe finire agli atti dell’inchiesta disciplinare. Nessuna segnalazione metteva in guardia dalla scadenza dei termini i responsabili della cancelleria. E così il fascicolo è rimasto fermo per un anno.
La questione, comunque sarà affrontata oggi in procura: l’aggiunto Italo Ormanni e il pm Lucia Lotti incontreranno il procuratore Giovanni Ferrara. Il fascicolo per chiarire la dinamica dei fatti è già aperto ancora contro ignoti.
Nel rapporto disciplinare di Scotti, invece, sono finiti il dirigente della cancelleria, che dovrà spiegare le ragioni della dimenticanza , e il cancelliere addetto ai fascicoli. Un funzionario tornato recentemente a lavoro dopo una lunga malattia.
Martedì 8 Novembre 2005
IL CASO
Abbatino: «Facevamo regali per aggiustare i processi»
La ”banda della Magliana” e i suoi intrecci con il potere. I presunti rapporti con i servizi segreti, con giudici, con politici, con medici delle carceri e anche con un cardinale. Anche fatti legati all’omicidio del banchiere Roberto Calvi. E’ quello che ha rivelato l’ex boss, collaboratore di giustizia, Maurizio Abbatino intervistato ieri sulla trasmissione di Rai 3 ”Chi l’ha visto”.
«Non mi sento più tranquillo. La sicurezza attorno a me si è abbassata», ha esordito l’ex boss che per anni è stato super protetto e oggi vive in una località segreta. Ha paura per la sua incolumità fisica Abbatino. «Sono stato arrestato poco fa per un reato lieve, portato in un carcere di massima sicurezza che ospita un appartenente alla Magliana», ha raccontato il pentito interpretando l’accaduto come se ci fosse qualcuno che lo voglia mettere a rischio la sua incolumità.
Abbatino ha parlato del grande potere della banda. «Corrompevamo esponenti del mondo giudiziario, un questore, ma anche dirigenti sanitari all’interno delle carceri romane. Ricordo che riuscivamo a entrare a palazzo di giustizia e avvicinavamo un cancelliere al quale portavamo contanti ma anche quadri, pellicce. Tutto questo faceva sì che i nostri processi avessero esiti favorevoli per noi della banda. Ad esempio attraverso regalie e soldi riuscimmo a ritardare il processo in Cassazione a Claudio Sicilia condannato in I e II grado per omicidio».
«Ricordo che Franco Giuseppucci si adoperò per fare uscire dal carcere Renatino De Pedis contattando il cardinale Casaroli». Il collaboratore di giustizia poi ha parlato dello statista Aldo Moro e del ruolo, durante il rapimento, che avrebbe avuto la banda nella vicenda. «L’onorevole Flaminio Piccoli ci contattò e andammo a un appuntamento con lui sul Tevere e ci chiese di trovare Moro». «Ci fu - ha continuato l’ex boss - anche chiesto di uccidere il banchiere Michele Sindona quando era in America poi non se ne fece più nulla». L’ex boss ha anche parlato del criminologo Aldo Semerari (ucciso dalla camorra di Cutolo) e della sua influenza sull’ambiente di estrema destra ipotizzando legami con la strage della stazione di Bologna.
M. D. R.
(Il Messaggero)
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