Adric
12-09-2005, 21:50
Il 60% di questi minori non può tornare con i genitori naturali e non ha altre possibilità. I bimbi in affido ogni due anni cambiano madre e padre
Adozioni, cinquemila bambini “figli a tempo”
Vivono in istituti, sono senza famiglia ma non possono essere adottati perché mai abbandonati
dal nostro inviato
MARIDA LOMBARDO PIJOLA
BELLARIA (Rimini)- Piero, 11 anni, è un bimbo sperduto, come Peter Pan. Ma la sua isola c’è, purtroppo: è il limbo, una bolla sospesa su uno spazio vuoto, abitata da trentamila piccoli fantasmi, i figli di nessuno, che vivono in istituto, oppure in affido, come lui. Piero ha una vita ”a rendere”, in prestito soltanto, e vive in un tempo immobile, l’attesa: «Ancora non so se potrò rimanere con questa famiglia, quando i due anni dell’affido finiranno. Loro vorrebbero adottarmi, lo vorrei tanto, però non si può: non sono stato abbandonato da mia madre. Io le voglio bene, ma spero di non tornare da lei, sta male con la testa, e papà se ne è andato..». Piero è uno dei tanti figli ”a tempo”, che sono simil-figli, un po’ abbandonati ed un po’ no,’ un po’ con due famiglie ed un po’ senza neppure una, figli di troppi e figli di nessuno. Ce ne sono in Italia 5 mila, il 60 per cento non tornano dai genitori naturali e restano nel limbo: per legge, non possono essere adottati. Tutti loro, denuncia l’Associazione Amici dei Bambini dal suo convegno di Bellaria, sono bimbi spezzati, alla deriva, perchè «l’affido è fallito», come denuncia Marco Griffini, il presidente: è una menzogna, una trappola, un trucco per mascherare l’abbandono, bisognerà trasfigurarlo in un altro genere di cosa, l’adozione mite, ad esempio, per salvare dal limbo Piero e tutti gli altri prima del gennaio 2006, quando, per legge, verranno chiusi tutti gli orfanotrofi.
Gaia, 14 anni, li conosce bene. Da quando ne aveva 8 dice di essere una ex bambina, perchè «una bambina vera sta con i genitori, invece io il papà non lo conosco, e mamma è in prigione». Perciò lei se ne è stata per otto anni a misurare l’immenso perimetro del nulla in un orfanotrofio, come succede agli altri 25mila, bimbi sottovuoto, intrappolati in uno spazio senza passato né futuro, senza carezze soprattutto. Si chiamavano istituti di assistenza, alcuni hanno chiuso, ed altri ancora no. La maggior parte, per rispettare le indicazioni della legge, si sono trasformati in qualcos’altro: comunità, casa-famiglia, o gruppo appartamento, come quello nel quale da un anno vive Gaia. «Non c’è una grande differenza -dice- perché tu non sei figlia, sorella, nipote, non sei niente, per nessuno».
Perciò Gaia e gli altri sono la prova di quanto sia fondata la censura all’Italia del Comitato Onu per i diritti dei bambini, di cui dà notizia uno che ne fa parte, Luigi Citarella: la legge sull’adozione non è bene applicata, troppi, ancora, i bimbi in istituto; inoltre tratta i bambini come oggetti, negando loro la possibilità di esprimere il loro parere. E magari potessero esprimerlo, Piero e Gaia, e gli altri. In tanti spezzerebbero legami di famiglia che rischiano di strangolarli, e sceglierebbero cose che servono ai bambini come il cibo: le certezze, le cure. Una famiglia vera, come quella che il giudice Franco Occhiogrosso, a Bari, grazie al sistema dell’adozione mite, ha trovato per quaranta bimbi che erano nel limbo. «E allora la strada e quella- dicono a Bellaria- facciamone una regola per tutti».
E poi c’è il limbo nel limbo: quello nel quale sono segregati i bimbi stranieri abbandonati in Italia. Sono tanti, aumentano ogni giorno, figli di immigrati in stato di disagio, figli di nomadi sottratti all’accattonaggio o alle percosse. Né italiani, né stranieri. Come adottarli? Estendiamo l’adozione internazionale anche all’Italia, propone l’Aibi. In fondo basterebbe un po’ di coraggio, un po’ di fantasia, per non dover far parte del limbo globale, che intrappola milioni di figli di nessuno, in tutto il mondo. Tanti da riempire una città come Roma. Hanno un letto, cibo, vestiti: un istituto li protegge e poi li assorbe, li divora, così che possa compiersi il loro destino, essere dimenticati. Come in Russia, con i suoi 900 mila senza famiglia, che alimentano la corruzione, e talvolta vengono venduti come piccoli animali, a coppie sterili, o peggio. O in Brasile, dove vengono sepolti negli istituti, senza essere neppure registrati. O in Moldavia, dove basta la firma di un genitore per segregarli.
I figli di nessuno crescono così, senza nessuna familiarità con la speranza. Hanno sogni minuscoli. Una porta, ha detto una ragazzina a Fatima Barreto, che gestisce le adozioni a Minas Gerais, Brasile. «Per fermare chi viene di notte a molestarmi». Una porta per essere un po’ meno infelice. Basterebbe.
(Il Messaggero.it)
Adozioni, cinquemila bambini “figli a tempo”
Vivono in istituti, sono senza famiglia ma non possono essere adottati perché mai abbandonati
dal nostro inviato
MARIDA LOMBARDO PIJOLA
BELLARIA (Rimini)- Piero, 11 anni, è un bimbo sperduto, come Peter Pan. Ma la sua isola c’è, purtroppo: è il limbo, una bolla sospesa su uno spazio vuoto, abitata da trentamila piccoli fantasmi, i figli di nessuno, che vivono in istituto, oppure in affido, come lui. Piero ha una vita ”a rendere”, in prestito soltanto, e vive in un tempo immobile, l’attesa: «Ancora non so se potrò rimanere con questa famiglia, quando i due anni dell’affido finiranno. Loro vorrebbero adottarmi, lo vorrei tanto, però non si può: non sono stato abbandonato da mia madre. Io le voglio bene, ma spero di non tornare da lei, sta male con la testa, e papà se ne è andato..». Piero è uno dei tanti figli ”a tempo”, che sono simil-figli, un po’ abbandonati ed un po’ no,’ un po’ con due famiglie ed un po’ senza neppure una, figli di troppi e figli di nessuno. Ce ne sono in Italia 5 mila, il 60 per cento non tornano dai genitori naturali e restano nel limbo: per legge, non possono essere adottati. Tutti loro, denuncia l’Associazione Amici dei Bambini dal suo convegno di Bellaria, sono bimbi spezzati, alla deriva, perchè «l’affido è fallito», come denuncia Marco Griffini, il presidente: è una menzogna, una trappola, un trucco per mascherare l’abbandono, bisognerà trasfigurarlo in un altro genere di cosa, l’adozione mite, ad esempio, per salvare dal limbo Piero e tutti gli altri prima del gennaio 2006, quando, per legge, verranno chiusi tutti gli orfanotrofi.
Gaia, 14 anni, li conosce bene. Da quando ne aveva 8 dice di essere una ex bambina, perchè «una bambina vera sta con i genitori, invece io il papà non lo conosco, e mamma è in prigione». Perciò lei se ne è stata per otto anni a misurare l’immenso perimetro del nulla in un orfanotrofio, come succede agli altri 25mila, bimbi sottovuoto, intrappolati in uno spazio senza passato né futuro, senza carezze soprattutto. Si chiamavano istituti di assistenza, alcuni hanno chiuso, ed altri ancora no. La maggior parte, per rispettare le indicazioni della legge, si sono trasformati in qualcos’altro: comunità, casa-famiglia, o gruppo appartamento, come quello nel quale da un anno vive Gaia. «Non c’è una grande differenza -dice- perché tu non sei figlia, sorella, nipote, non sei niente, per nessuno».
Perciò Gaia e gli altri sono la prova di quanto sia fondata la censura all’Italia del Comitato Onu per i diritti dei bambini, di cui dà notizia uno che ne fa parte, Luigi Citarella: la legge sull’adozione non è bene applicata, troppi, ancora, i bimbi in istituto; inoltre tratta i bambini come oggetti, negando loro la possibilità di esprimere il loro parere. E magari potessero esprimerlo, Piero e Gaia, e gli altri. In tanti spezzerebbero legami di famiglia che rischiano di strangolarli, e sceglierebbero cose che servono ai bambini come il cibo: le certezze, le cure. Una famiglia vera, come quella che il giudice Franco Occhiogrosso, a Bari, grazie al sistema dell’adozione mite, ha trovato per quaranta bimbi che erano nel limbo. «E allora la strada e quella- dicono a Bellaria- facciamone una regola per tutti».
E poi c’è il limbo nel limbo: quello nel quale sono segregati i bimbi stranieri abbandonati in Italia. Sono tanti, aumentano ogni giorno, figli di immigrati in stato di disagio, figli di nomadi sottratti all’accattonaggio o alle percosse. Né italiani, né stranieri. Come adottarli? Estendiamo l’adozione internazionale anche all’Italia, propone l’Aibi. In fondo basterebbe un po’ di coraggio, un po’ di fantasia, per non dover far parte del limbo globale, che intrappola milioni di figli di nessuno, in tutto il mondo. Tanti da riempire una città come Roma. Hanno un letto, cibo, vestiti: un istituto li protegge e poi li assorbe, li divora, così che possa compiersi il loro destino, essere dimenticati. Come in Russia, con i suoi 900 mila senza famiglia, che alimentano la corruzione, e talvolta vengono venduti come piccoli animali, a coppie sterili, o peggio. O in Brasile, dove vengono sepolti negli istituti, senza essere neppure registrati. O in Moldavia, dove basta la firma di un genitore per segregarli.
I figli di nessuno crescono così, senza nessuna familiarità con la speranza. Hanno sogni minuscoli. Una porta, ha detto una ragazzina a Fatima Barreto, che gestisce le adozioni a Minas Gerais, Brasile. «Per fermare chi viene di notte a molestarmi». Una porta per essere un po’ meno infelice. Basterebbe.
(Il Messaggero.it)